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(Nando Cianci)

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Scuolaslow è una piazza nella quale incontrarsi, discutere, raccontare le riflessioni, le esperienze, le pratiche intrecciate con l'idea di una scuola slow, vale a dire sottratta...

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FRANCESCH

di Joan D. Francesch        La Scuola, Brescia,                 pp.192, € 9,50

            Non c’è riforma, o presunta tale, della scuola che non sia accompagnata da una estenuante serie di tabelle che definiscono quante ore complessivamente si debba stare a scuola, quante ore riservare ad ogni singola materia, quali obiettivi raggiungere, quali indicatori utilizzare, quali programmi attuare, quali valutazioni effettuare. Un apparato corposo che il senso comune di chi opera nella scuola si è abituato a considerare “normale” o, comunque, inevitabile. Ma che molti insegnanti, forse la gran parte, sente come un fardello contro il quale attua strategie, più o meno consapevoli, di elusione. E che, comunque, costituisce una pressione costante che appesantisce l’azione formativa ed educativa. Anche perché, a ben guardare, quanti nella scuola lavorano (e forse anche coloro che della redazione di questi poderosi apparati e ricettari si occupano) sanno benissimo che la sproporzione tra ciò che viene chiesto di realizzare e il tempo a disposizione per farlo è macroscopica. E, soprattutto, agli occhi di chi nella scuola vive con passione e senso civico, appare chiaro che questi apparati di tabelle hanno il difetto di non nascere da ciò che realmente accade nelle aule. E, in fondo, di non preoccuparsene granché.
            Si vede, così, che l’idea e l’uso del tempo in educazione vengono trattati come qualcosa di meramente «organizzativo e tecnico», che determina pressioni sugli insegnanti e un modello educativo funzionale ad un’idea di scuola basata sulla competitività e, perciò, «materialista e disumanizzata». Di qui la necessità di riconsiderare il tempo –nella scuola, come anche nell’insieme della società- sotto «un punto di vista etico e profondamente umano».
            Partendo da questa idea del rapporto inscindibile tra tempo e educazione, tanto nella riflessione che nella concretezza della vita, Joan Domènech Francesch, nel libro Elogio dell’educazione lenta (La Scuola, pp 192, € 9,50) presenta la sua proposta di una decelerazione in campo educativo che porti a realizzare una scuola rispettosa dei ritmi di apprendimento di ciascun alunno. Un’idea cara a tanti pedagogisti, di epoche diverse, ma che qui viene presentata in una dimensione che trascende l’individuo e guarda alla sostanza delle relazioni umane e sociali. Come spesso viene ripetuto, anche da autori che Francesch cita nel suo libro, «il ritmo veloce, gli obiettivi a breve termine, la pressione sui risultarti» danno luogo a «situazioni insostenibili, perdita di creatività e stress in alunni e docenti, risultati modesti a medio e lungo termine». Non solo: il modello basato sulla velocità accentua le disuguaglianze, in quanto fondato su ritmi possibili, forse, solo ad una parte degli alunni e degli stessi docenti. E non si tratta soltanto, si badi bene, della pur lodevole esigenza di difendere i più deboli. In realtà, a beneficiare di una diminuzione di velocità nella vita della scuola sarebbero anche gli alunni apparentemente a proprio agio con i ritmi elevati, perché la fretta, l’accelerazione dell’attività educativa portano «alla scomparsa di ambiti educativi chiave per lo sviluppo globale della persona». Tanto che persino l’apparente “successo” scolastico degli alunni più “veloci” viene pagato con la limitazione, nella formazione della loro personalità, di dimensioni relative alla capacità di relazione e alla profondità del sapere che acquisiscono.
            Sotto questa prospettiva, viene presentato un percorso educativo che, come si diceva, va oltre la pur basilare formazione dell’individuo e assume un valore che riguarda l’intera società, presentandosi come «un antidoto non solo contro l’ignoranza, ma anche contro la disuguaglianza, la violenza, la sottomissione, l’alienazione». E, nel viaggio che da questi presupposti si dipana, l’autore ci conduce attraverso analisi pedagogiche, questioni di principio e problemi pratici, svariando dalla presenza delle nuove tecnologie a scuola sino ai problemi posti dalla “società liquida”, dai principi fondamentali per una “educazione lenta” alle proprie proposte per una decelerazione che coinvolga, oltre alla scuola, la famiglia e la società. Un viaggio costruito su una strada maestra che viene mantenuta sempre ferma: il già ricordato nesso inscindibile ta educazione e tempo (e tra questo e lo spazio). Rapporti da guardare sotto una prospettiva che ripensi le relazioni tra adulti e bambini e che comprenda anche la legittimità, anzi la necessità, di un “tempo senza tempo”: quello che i bambini vivono come incanto e contemplazione e che, troppo spesso, noi adulti scambiamo per una “distrazione” che ostacola il processo di apprendimento. Un tempo che, a ben vedere, è essenziale anche per gli adulti: «Distrarsi, incantarsi, poter dare un’occhiata, meditare, pensare, astrarsi … senza fretta: a poco a poco, lentamente, con gradualità … E’ il tempo che serve ai poeti, agli scienziati o ai filosofi per sviluppare il proprio pensiero e trasformarlo in versi, innovazioni, idee … Ma anche gli altri ne hanno bisogno: è il tempo che aiuta a prendere decisioni, orientare percorsi, apprendimenti, a districare una situazione complessa …». Gli adulti, insomma, potrebbero applicare anche all'insieme della propria vita in generale quel Rousseau, nell’Emile, suggeriva loro nel praticare il “mestiere” di educatori:
«saper perdere tempo per guadagnarne». (n.c.)

L’incipit:Per sua natura, l’educazione è un’attività lenta. I processi educativi sono lenti, perché gli apprendimeni rientrino in un percorso che passa per una molteplicità di stadi e di momenti. Apprendimenti diversi, come apprendere a leggere e a scrivere, apprendere un lavoro e apprendere a relazionarsi con il resto dell’umanità … sono esempi delle diverse conoscenze che acquisiamo nel corso della nostra vita e che richiedono periodi lunghi per consolidarsi ed essere approfondite.

            L’educazione richiede pazienza, tranquillità e lentezza. Possiamo escludere soltanto alcuni apprendimenti concreti, che realizziamo in modo puntuale e molto tecnico: il funzionamento di un apparecchio, l’applicazione di una formula, la memorizzazione di un dato concreto … Ma persino questi apprendimenti possono essere modificati, o migliorati, dall’azione del tempo. Apprendere è un processo, anche se spesso ne limitiamo la portata e il percorso naturale e vogliamo renderlo il più rapido possibile.
            Ci riferiamo ad apprendimenti compiuti per essere compresi. L’apprendimento mnemonico per un esame, che una volta fatto si dimentica, non è un apprendimento comprensivo e non richiede tempi molto lunghi. Questo tipo di apprendimento avviene in modo affrettato.
            La lentezza ha più senso, se possibile, nell’epoca in cui viviamo. Un’epoca in cui i concetti di educazione permanente, che dura tutta la vita, o di apprendere ad apprendere, sono parte indissolubile della nostra società. Se allunghiamo il tempo educativo parallelamente alla speranza di vita, l’educazione lenta ha più che mai senso, perché sappiamo che possiamo destinarle tutto il tempo necessario. [...] Restituire agli apprendimenti il ritmo adeguato è una necessità, se vogliamo garantire un’educazione che davvero risponda alle esigenze che la società ci pone.

L’autore: Joan Domènech Francesch è direttore della scola pubblica “Fructuós Gelabert” di Barcellona. Membro della Federación de Movimientos de Renovación Pedagógica de Cataluña y de la Coordinación des Escuelas 0-12.

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