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Gli antichi ci riguardanodi  Luciano Canfora
il Mulino
, Bologna, pp. 104, € 10,00

IL LIBRO: La disputa tra gli antichi e i moderni ha antecedenti colti, potendosi farla risalire almeno al 1600, quando in Francia scoppiò la famosa Querelle des anciens et des modernes, che vide impegnati figure come  Racine, Perrault, La Fontaine e istituzioni come l’Académie française (da noi alla questione si applicò, nei primi decenni di quel secolo, Alessandro Tassoni).  E ancora nell’800, Karl Marx osteggiava con la sua nota verve polemica quanti sostenevano che per gli operai l’interesse per la cultura antica non dovesse avere alcun valore. Di fronte all’altezza di un dibattito plurisecolare, le presunte svolte moderniste di alcuni ministri dell’istruzione dei giorni nostri si mostrano in tutta la loro insipiente prosopopea.

A partire da Luigi Berlinguer, dal ministero sono partite aggressioni aziendalistico-burocratiche tendenti a mortificare il valore di studi, come quello della storia, essenziali per la formazione della coscienza civica, di cui in Italia non si registra invero alcuna abbondanza. 
    A riportare il dibattito su livelli più consoni alla nobiltà del tema interviene ora un pamphlet dello storico Luciano Canfora, Gli antichi ci riguardano, edito da il Mulino (pp. 104, € 10,00). Canfora non lesina, in apertura, corpose randellate ai ministri che si sono mossi «con approssimazione e semplificazione demagogica», perseguendo il non nobile scopo «di assecondare la scelta di riservare alla scuola le briciole del bilancio», ignorandone la funzione di «vero motore della democrazia non demagogica».
   Prendendo le mosse da coloro che, a partire da due secoli fa, hanno propugnato una riduzione degli studi umanistici, Canfora sottopone a critica anche le argomentazioni di chi tali studi ha difeso. Argomenti a volte controproducenti, a volte interessanti ma che affrontano in modo parziale il problema, poiché si pongono l’obiettivo di mostrare l’utilità dei classici (anche quando, in apparenza, ne lodano proprio l’inutilità come fattore caratterizzante e nobilitante). Ma la domanda di fondo, alla quale il pamphlet vuole rispondere, va oltre il pur indiscutibile valore formativo degli studi classici  e «l’indispensabilità culturale della conoscenza di quel mondo per capire i moderni». La domanda è, come suggerisce il titolo: perché ci riguardano? La risposta di Canfora è: «perché i loro problemi, quelli che loro non sono stati in grado di risolvere, sono anche i nostri». Problemi complessi e mai risolti, che attraversano la carne viva di ogni possibilità di democrazia: se alla politica possono accedere solo i competenti (dunque il rapporto tra competenza e politica), ad esempio; o il rapporto tra libertà e dipendenza, che –oltre alle classi sociali- investe i rapporti fra le diverse aree del pianeta. E poi il tema della cittadinanza e quello, che ne discende, della natura unitaria del genere umano e, quindi, del cosmopolitismo.
   Terreni sui quali le civiltà greca e romana si sono sempre cimentate. Con lacrime e sangue, anche. Sì che, in definitiva, i classici non vanno rimirati, ma interrogati. Partendo da una considerazione nella quale Canfora vede il vero vantaggio di questo interpellare gli antichi: «Essi non hanno scelto la via consolatoria. Ci insegnano a scartar le risposte facili e le facili consolazioni e autoassoluzioni». La ricerca, dunque, è ancora attuale, e i classici continuano a riguardarci. Non perché in essi troviamo le soluzioni dei problemi, ma perché quello dei classici «è un mondo che aiuta a capire la difficoltà, a capire che non sempre i problemi hanno una soluzione». Ed insegna a vivere i conflitti senza adagiarsi in soluzioni consolatorie.

L’INCIPIT: Discutendosi nel nostro Paese, da qualche tempo, intorno alla opportunità di ridurre a quattro gli anni di studio nella scuola superiore, sorge prepotente il quesito intorno ai tagli che potrebbero essere inferti ai contenuti dell’insegnamento: se cioè non stia per essere buttato a mare il contenuto principale e più delicato da cui vengono formati i cittadini: la conoscenza della storia. Ove ciò accadesse, assisteremmo al compimento di quel degrado intellettuale che ebbe inizio quando un ministro, denominato Berlinguer, sbottò nella celebre frase: «Il liceo classico ci ha corrotti!» (verrebbe da dire: parla per te). Fu allora avviata una operazione chirurgica tipo «letto di Procuste: immesso, com’era ovvio e necessario, il Novecento nei programmi di storia, fu scorciata la storia antica, in omaggio al principio onde, restando l letto sempre lo stesso ma crescendo di dimensioni l’individuo, non resta che tagliargli i piedi o, in alternativa e in considerazione della sua irrilevanza, la testa. Lo studio della storia a scuola ne uscì molto ammaccato. E fu anche creato un precedente gustoso: ad ogni giro di secolo si butta via un’epoca storica del passato. Criterio, e conseguente provvedimento, erano intrinsecamente insipienti, frutto di un’idea tutta “politichese”: basata sul presupposto che in questione fosse unicamente la storia politico-militare, in totale dimenticanza delle altre storie che fecero del Novecento un secolo memorabile: dell’arte, della scienza, della letteratura e via seguitando. Tagli dunque in tutte le direzioni? Evidentemente no. La risposta dovrebbe essere quella opposta: dare più tempo al cammino scolastico («dare respiro agli studenti», e agli insegnanti.

L’AUTORE:Luciano Canfora è professore emerito all’Università di Bari. Dirige la rivista Quaderni di storia e collabora al Corriere della Sera. Fra le sue pubblicazioni Il mondo di Atene (Laterza, 2012), Spie, URS, antifascismo. Gramsci 1926-1937 (Salerno, 2012). “E’ l’’Europa che ce lo chiede!” Falso! (Laterza, 2013) e La crisi dell’utopia. Aristofane contro Platone (Laterza, 2014). Per il Mulino ha curato Disegnare il futuro con intelligenza antica (con Ugo Cardinale, 2013).

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