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Storie di donne nelle carceri iraniane
di Puoran Najafi e Hengameh Hajhassan
Prefazione di Dacia Maraini
Il libro: Molte sono, purtroppo, nel mondo le donne sottoposte a sofferenze derivate dalla repressione, dalla privazione della libertà, persino da torture. Sofferenze aggravate dalla discriminazione di genere che presenta il suo volto odioso anche all’interno di comunità già duramente provate nel loro insieme. Dall’interno di questi gironi della sofferenza, si levano però voci di testimonianza e di ribellione, voci coraggiose che trovano la forza per affermare, anche fra le torture, il diritto alla libertà.
Puoran Najafi e Hergameh Hajhassan sono due di queste donne, molto giovani allo scoppio della rivoluzione iraniana del 1979, che raccontano il loro impegno civile, il loro entusiasmo nel voler partecipare ad una pagina nuova del loro paese e si ritrovano, per questo, incarcerate e torturate. «Due donne che - scrive Dacia Maraini nella Prefazione- in tempo di pace, avrebbero semplicemente fatto il proprio dovere, generosamente e anche allegramente, come era nel loro carattere. Due donne piene di vita, pronte a rimboccarsi le maniche per aiutare gli altri, ma anche felici di apprendere, di studiare, di fare una vita comunitaria piena di invenzioni e creatività». E che invece hanno subito, per strade diverse, «una furia punitiva [che] le ha strappate al loro destino di lavoratrici e di madri», e le ha avviate per un calvario le cui vicende «prendono alla gola». Reagiscono, insieme alle altre ragazze in carcere, con la reciproca solidarietà: «imparano a prendersi cura l’una del’altra, facendosi coraggio, scherzando anche nei momenti più difficili per spazzare via la paura, cantando (ma di nascosto perché era proibito), raccontandosi storie e memorie del passato comune». Questo non salverà molte di quelle ragazze da una triste sorte (la stessa Puoran Najafi perirà in seguito ad un attacco missilistico contro un raduno di Mojahedin del popolo). Ma il carcere e la tortura non spegneranno nelle sopravvissute il desiderio di libertà e la forza di raccontare l’inenarrabile. Tra queste c’è anche Hengameh Hajssan che, scrive ancora Dacia Maraini, con la sua testimonianza «ha mostrato che il coraggio, l’ottimismo, l’allegria, la tenerezza, la solidarietà sono vincenti anche quando sembra che tutto sia perso».
L’incipit: Quando cadde lo sciah, io avevo 17 anni e frequentavo l’istituto tecnico industriale a Rasht, nella regione Ghilan a Nord del paese vicino al Mar Caspio. Noi iraniani, soprattutto giovani, consideravamo quei primi mesi come la primavera della libertà. Pensavamo che in questa primavera sarebbero sbocciati i nostri desideri repressi. Durante la terribile dittatura dei Pahlavi incontrare e conoscere un esponente Mojahedin del popolo ea come un sogno e un desiderio entusiasmante.
Quando i Mojahedin del popolo aprirono le loro sedi ufficiali e pubbliche nella regione di Ghilan, per noi giovani, ragazze e ragazzi, iniziò una nuova vita piena di attività. Ora che scrivo, è trascorso un quarto di secolo. Guardo al passato. Non c’era neanche un giorno, un’ora per stare fermi o quieti.
Non avrà mai fine la nostra trepidazione fino alla realizzazione della libertà in Iran.
Allo scoppio della rivoluzione antimonarchica del 1979, iniziai il mio impegno sociale e politico nelle file dei simpatizzanti del Mojahedin del popolo iraniano. Non ricordo neanche un giorno in cui non fossi stata maltrattata o percossa dai picchiatori o dai pasdaran del regime teocratico.
Sin da subito il regime khomeinista, nonostante non avesse ancora istituzionalizzata la repressione, non sopportava il sostegno dei Mojahedin del popolo e la diffusione della loro politica e dei loro obiettivi. In particolare le attività delle donne –molte scolare e studentesse, nei quartieri delle città e ovunque ci fosse un viavai di gente, distribuivano volantini, pubblicazioni e giornali- non erano sopportate dai reazionari al potere e dai loro pasdaran. La “doppia discriminazione” è una definizione coniata per esprimere le storiche discriminazioni e disparità tra donne e uomini, ma per raccontare ciò che i mullà fecero alle donne e alle ragazze in Iran, soprattutto alle simpatizzanti dei Mojahedin del popolo, non ho ancora trovato le parole adeguate.