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i fantasmi del capitale grande

 

I FANTASMI DEL CAPITALE
di
Arundhati Roy
Guanda, Milano, pp. 172, € 14,00

Il libro: Le cifre del boom economico, prese nella loro astrattezza, possono tracciare il cammino di uno sviluppo vorticoso di un’area del mondo. Lette dal punto di visto di chi ne trae beneficio, confortano, rassicurano, producono euforia. Se però ci si immerge nella concreta quotidianità di quell’area, di quelle cifre non si avverte alcuna presenza. Esse finiscono spesso con il nascondere, così, contrasti anche iperbolici tra l’immensa ricchezza di chi ha cavalcato spregiudicatamente quel boom, beneficiandone, e la povertà estrema di chi, nel migliore dei casi, ne ha raccolto qualche briciola che una sospetta filantropia ha immesso qui e là nel corpo sociale.
   Di un fenomeno di questo tipo, che ha interessato negli ultimi decenni la grande nazione indiana, si occupa in un libro denso e pungente, reso con scrittura brillante, Arundhati Roy, già molto nota per il suo romanzo d’esordio Il dio delle piccole cose.
   Il nuovo libro, I fantasmi del capitale, narra ed analizza di come il boom 
economico in India abbia  acuito il solco tra il mondo del lusso sfrenato e quello della miseria disumana; due mondi che, allo stesso tempo, sono contigui e distanti anni luce tra loro. Mondi che si toccano, però, quando la presenza dei poveri intralcia il cammino predatorio verso ulteriori arricchimenti. Si innesca, allora, una azione spietata che, in nome del profitto, passa come un rullo compressore su villaggi, comunità, popolazioni, culture. Per il possesso di estensioni di terre nella giungla, si scaccia, ad esempio, dai suoi luoghi una massa di 350 mila persone, se ne torturano decine di migliaia, si assiste al suicidio di altre migliaia. Si combattono guerre, come quella del Kashmir, dove si contano 70 mila morti.

   Non si tratta –lo si capisce anche dalla dimensione di questo disastro umanitario- di una guerra “locale”. Qualche volta direttamente sul proscenio, ma più spesso dietro le quinte, tirano le fila della trama i cosiddetti “poteri forti”: le ricche fondazioni americane, la Banca Mondiale, persino alcune Organizzazioni non Governative che, scrive l’autrice, «si sono aperte un strada nel mondo, trasformando potenziali rivoluzionari in attivisti stipendiati, sovvenzionando artisti, intellettuali e registi per distoglierli in modo mellifluo dal fare scelte radicali»  e creando una sorta di «industria dei diritti umani».
   La denuncia di Roy, che si nutre di analisi, racconti tratti dalla cronaca. Aneddoti rivelatori, chiama dunque in causa responsabilità precise e investe l’idea stessa di democrazia che nella versione indiana –ma non solo- appare una grottesca parodia di se stessa e ci fa pensare alla storiella che rappresenta questa idea svilente come la riunione di due lupi ed un agnello che mettono a votazione il menu della loro cena. Con il correlato lavoro ideologico teso a far sì che l’agnello vada incontro al suo destino con animo felice.
   Questo interessante lavoro viene condotto con un andamento che fonde in sé lo sguardo distaccato e critico che consente un’osservazione accurata con la passione e lo spirito battagliero di chi vive le situazioni dal di dentro. Con una scrittura che avvince, puntando anche sull'ironia e, qualche volta, sul sarcasmo e che si mantiene sempre nitida e chiara. (n.c.)

L’incipit: E’ un palazzo o una casa? Un tempio alla nuova India o un deposito per i suoi fantasmi Da quando Antilla è spuntata in Altamout Road a Mumbai, con la sua aura di mistero e tacita minaccia, le cose non sono più le stesse. «Eco qua» mi ha detto l’amica che mi ha accompagnata a vederla.  «Rendo omaggio alla nostra nuova sovrana.»
            Antilla appartiene all’uomo più ricco dell’India, Mudesh Ambani. Avevo letto di quella dimora, la più costosa mai costruita: ventisette piani, tre piattaforme per elicotteri, nove ascensori, giardini pensili,  sale da ballo, stanze dove si può cambiare clima a piacimento, palestre, parcheggi a sei livelli, seicento addetti alla manutenzione. Nulla di tutto ciò mi aveva preparata al vertiginoso prato verticale: una muraglia d’erba, fissata a un’enorme griglia di metallo, che corre lungo i ventisette piani. Qua e là i fili apparivano inariditi; pezzi di prato si erano staccati in nitidi rettangoli. A quanto pareva, il Trickledown, lo sgocciolio verso il basso, non aveva funzionato.
            Ma il Gush-Up, lo zampillo verso l’alto, era evidente. Ecco perché, in un paese di un miliardo e duecentomila persone, i cento individui più ricchi sono proprietari di beni che equivalgono a un quarto del prodotto interno lordo nazionale.
            Secondo la voce che circola (o almeno circolava) per le strade (e sulle pagine del «New York Times»), dopo tanti sforzi e tanto giardinaggio, gli Ambani non abitano ad Antilla: Nessuno lo sa per certo.  La gente continua mormorare di spettri e di malasorte, di Vastu e di feng shui. Forse è tutta colpa di Karl Marx. (È lui il colpevole di tante maledizioni.) Il capitalismo ha scritto, «che ha suscitato come per incanto così potenti mezzi di produzione e di scambio, rassomiglia allo stregone che non riesce più a dominare le potenze degli inferi da lui evocate».
            In India, i trecento milioni di noi che rientrano nella nuova classe media successiva alle «riforme» del Fondo Monetario Internazionale (e costituiscono il mercato interno) vivono fianco a fianco con gli spiriti degli inferi, con il poltergeist dei fiumi morti, dei pozzi disseccati, delle montagne brulle come il Monte Calvo e delle foreste depredate e spogliate; con i fantasmi dei duecentocinquantamila agricoltori oberati di debiti che si sono tolti la vita e degli ottocento milioni di nostri concittadini impoveriti e diseredati per fare spazio a noi. Gente che sopravvive con meno di venti rupie al giorno.

L’autriceArundhati Roy, nata nel Kerala, si laureata alla Delhi School of Architecture e vive a Nuova Delhi. È stata assistente al National Institute of Urban Affairs e ha studiato Restauro dei monumenti a Firenze. Ha scritto, alcune sceneggiature e collabora a varie testate, fra cui  Internazionale. Il dio delle piccole cose, suo romanzo d'esordio, è stato un caso letterario e un best seller in tutto il mondo. Guanda ha pubblicato anche L’impero e il vuoto. Conversazioni con David Barsamian e le raccolte di saggi Guerra è pace, Guida all’impero per la gente comune, La strana storia dell’assalto al parlamento indiano, Quando arrivano le cavallette e In marcia con i ribelli.

 

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A passo d'uomo

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Grande studio (ambizione) degli uomini mentre sono immaturi, è di  parere uomini fatti, e quando sono uomini fatti, di parere immaturi.   
 
(G. Leopardi, Zibaldone, 16. Settem. 1832).

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