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Scuolaslow è una piazza nella quale incontrarsi, discutere, raccontare le riflessioni, le esperienze, le pratiche intrecciate con l'idea di una scuola slow, vale a dire sottratta...

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DONO E PERDONOIL DONO NEL TEMPO DELLA CRISI
Per una psicologia del riconoscimento

di Enrico Molinari e Pietro Andrea Cavaleri
Raffaello Cortina, Milano, pp. 150, € 15,00

Il libro: Quando ci si lascia immergere nella cultura della competizione, si è portati ad agire in modo conflittuale con gli altri (sui quali bisogna cercare sempre di essere in “vantaggio”) e a sviluppare verso di essi più o meno espliciti sensi di ostilità. Sicché manifestazioni che si pongono al di fuori di questa cultura, come la generosità, il dono, il perdono vengono accolti con diffidenza, spingono a chiedersi dov’è il trucco, cosa realmente si prefigge di avere in cambio, a proprio beneficio, il donatore.

    Questo atteggiamento competitivo viene fatto da certuni risalire all’istinto di autoconservazione, che porterebbe ad instaurare con gli altri legami sociali per lo più strumentali e utilitaristici. Eppure,nonostante il lavoro a tempi pieno dei sacerdoti mediatici e politici della cultura della competizione, le cose si possono vedere anche in altro modo: negli uomini non esiste solo questo tipo passioni. In essi abitano anche la generosità, la solidarietà. Che,  a ben vedere, garantiscono la conservazione della specie molto più della frenesia competitiva. La quale, sia detto per inciso, porta con sé proprio il rischio di realizzare l’opposto di quel che alcuni le attribuiscono: quello dello sfruttamento insensato del Pianeta fino alle estreme conseguenze.
   Di come il dono, il perdono, la relazione non utilitaristica siano connaturate nell’uomo e gli disegnano un cammino di vita di ben altra qualità, ci parlano in un libro appena uscito per il Mulino, Enrico Molinari e Pietro Andrea Cavaleri. Il loro Il dono nel tempo della crisi prende le mosse dalla bella storia di Nelson Mandela, che assurge a simbolo dell’altezza e della sconvolgente bellezza del perdono e dà elementi alla ricerca psicologica per mostrare -come sottolinea Eugenio Borgna nella Presentazione- come «il riconoscimento si costituisca come l’elemento fondamentale della nostra salute pubblica, e contestualmente della nostra autorealizzazione; e il riconoscimento ha nel dono e nel perdono due fra le sue più alte espressioni». Il riconoscimento dell’altro e l’essere a lui riconosciuto, l’intersoggetività e le relazioni di reciprocità (che nel dono e nel perdono hanno aspetti qualificanti) costituiscono così la “colonna portante” della vita, della conoscenza, dell’etica. E il tema del dono si svincola dalla pur nobile visione che lo vede come un “sacrificarsi” per gli altri, un offrirsi nel senso dell’immolarsi, per assumere valenze che ne fanno una sorta di condizione “naturale” dell’uomo. Di un uomo che, è ben evidente, non viene inteso nella visione freudiana dell’ homo natura (pulsione di vita e tendenza al soddisfacimento del desiderio) che viene sottoposto alla pressione e alla costrizione inibitorie da parte della società. ‘ invece una condizione per la quale gli autori propongono la definizione di homo reciprocus, che esiste sulla base del riconoscimento che riceve dagli altri e di quello che sa donare agli altri.
    E’una strada erta dunque, quella che gli autori intraprendono in questo libro, che esamina il problema dal punto di vista della psicologia, che il campo nel quale essi agiscono e ricercano quotidianamente, ma che sa librarsi a visioni che superano, e di tanto, la visione settoriale: «La psicologia si fa così etica della responsabilità, e ricerca di vicinanza umana, prima ancora che tecnica, a chi sta vivendo nella sofferenza e nella disperazione» possiamo ancora dire con Eugenio Borgna.
   Ma è, nel contempo, una strada affascinante che si nutre anche di interessanti puntelli provenienti da altre discipline e che non teme di approdare a concetti sinora appannaggio di visioni, come quella religiosa, generalmente ritenute al di fuori del seminato della scienza. Come quello di comunione, germinata nel campo della dimensione spirituale e della riflessione teologica, ma non per questo da espungere dalla ricerca psicologica.  Un bel viaggio insomma, quello che Molinari e Cavaleri ci fanno compiere, fino all’approdo che fa consistere nel bene relazionale la dimensione nel quale l’uomo nasce e rinasce. E che nel dono e nel perdono vede esperienze relazioni fondamentali cui volgere lo sguardo ed attinge perché l’homo reciprocus non si faccia ingabbiare ed insterilire dalla «esaltazione dell’individualismo» e della «autorealizzazione solipsistica» che, contrariamente a quel che promettono, dispensano sofferenza e disagio.

L’incipit:  La recente morte di Nelson Mandela (1918-2013) ha ricordato al mondo l'affascinante storia di un uomo che ha saputo lottare, donare e perdonare. Leader del movimento antiapartheid, Mandela ebbe un ruolo determinante nella caduta di tale regime in Sudafrica.Nei giorni della sua morte è stato ricordato dai “grandi” e dai “piccoli” della Terra come l’eroe della pace coraggiosa, l’uomo dolce e forte che insegnò a non odiare.
  Nato nel villaggio rurale di Mvezo, a nove anni, dopo la morte del padre, viene spinto dalla madre a studiare presso le scuole metodiste. Diventerà avvocato e a Johannesburg si impegnerà nella difesa dei più poveri. Negli anni Quaranta entra nell’African National Congress e ne diventa un leader, guidando proteste e boicottaggi contro un sistema basato sulla segregazione della maggioranza nera.
   È arrestato e condannato nel 1992. Resterà in carcere per ventisette anni resistendo alla fatica dei lavori forzati, inizialmente a spaccare pietre in una cava, superando lo sconforto, lo sfinimento, il rancore che la violenza e l’ingiustizia hanno la forza di seminare. La sua autodifesa in tribunale può essere considerata uno dei punti alti della politica del secolo scorso: «Nella mia vita mi sono battuto contro la dominazione bianca, e mi sono battuto contro la dominazione nera. Ho creduto nell’ideale di una società democratica e libera, in cui tutti vivano insieme in armonia e con uguali opportunità. E’ un ideale a cui spero di dedicare la vita. Ma se necessario e’ un ideale per cui sono pronto a morire».
   Scarcerato nel 1990, viene insignito del premio Nobel per la pace nel 1993. L’anno successivo diventa il primo presidente nero del suo Paese e istituisce un tribunale speciale, la Commissione per la verità e la riconciliazione, con lo scopo di favorire il superamento della delicata fase di transizione. Ormai avanti negli anni, si ritira dalla vita politica attiva, ma continua a battersi per i diritti umani, divenendo un riferimento autorevole per quanti, in ogni pare del pianeta, si oppongono a qualsiasi forma di oppressione e di ingiustizia. La sua eredità umana e politica appare immensa.
   Per quanti si occupano di psicologia, i suoi discorsi e i suoi scritti si delineano subito come una preziosa sintesi di una originale trattazione della resilienza e sullo sviluppo della personalità. La vita di Mandela è ricca di insegnamenti per ogni uomo e può quindi essere considerata come un importante contributo anche alla psicologia e a tutti coloro che, attraverso questa disciplina, cercano di collaborare a un sano sviluppo delle persone e a un miglioramento della convivenza umana.

Gli autori: Enrico Molinari è professore ordinario di Psicologia clinica presso l’Università Cattolica del Sacro Cuore di Milano, dove coordina il corso di laurea e il laboratorio di Psicologia clinica. Svolge inoltre attività di ricerca presso l’Istituto auxologico italiano su temi di psicologia sanitaria.

Pietro Andrea Cavaleri, dirigente psicologo dell’asp di Caltanissetta, è didatta ordinario presso la Scuola di specializzazione in psicoterapia dell’Istituto di Gestalt HCC. I suoi ambiti di ricerca riguardano gli aspetti epistemologici del lavoro clinico. È assessore alle politiche sociali della sua città.

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