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La scuola serve a vivere meglio, non a produrre di più
(Nando Cianci)

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di Nando Cianci

Come spesso accade, gli Stati Uniti anticipano fenomeni che, prima o poi, approdano anche sulle nostre sponde. Già trent’anni fa, in California, gli annunci di vendita o di affitto di migliaia di appartamenti recavano l’esclusione delle famiglie con bambini. Una tendenza che poi si estenderà in altri campi, nonostante venissero promulgate leggi che, per così dire, vietavano di vietare.

Questa propensione a risolvere un problema sociale con scorciatoie repressive ed escludenti esplode in questi giorni anche da noi. E’ il caso, di cui le cronache ci stanno dando ampio conto, di ristoranti e di alberghi che espongono cartelli nei quali si dice a chiare lettere che i bambini “non sono graditi”. 

Non che da noi comportamenti di bambini che causano irritazione e malcontento siano apparsi in questi giorni.  Da decenni studi e sondaggi rivelano come certi bambini italiani in vacanza rappresentino un vero incubo per operatori e turisti, a causa di comportamenti rumorosi e incuranti dell’esistenza degli altri.

E’ interessante notare come una parte cospicua di tali bambini appartenga alla fascia di età prescolare. Il che ci conduce a sfatare il luogo comune che vede la scuola come principale responsabile di quella che vien sommariamente definita la maleducazione dilagante. I bambini, in realtà, arrivano a scuola avendo già ricevuto una forte impronta educativa dai genitori. O meglio: dal comportamento che osservano nei genitori, perché l’esempio educa molto più delle parole. Certo, poi la scuola a volte ci mette del suo, tollerando o restando indifferente verso quei comportamenti che rivelano scarsa considerazione o disprezzo per gli altri e che vanno dal trattare i beni materiali comuni con atteggiamenti prossimi al vandalismo fino al bullismo. Molte altre volte, invece, la scuola riesce ad iniettare robuste dosi di senso civico nei bambini e nei ragazzi. Tutto dipende, come sempre, non da un astratto “sistema” scolastico, ma da quel che concretamente riescono a fare, nel lavoro quotidiano, i singoli docenti e le singole istituzioni scolastiche. E dall’idea di bene comune che ispira gli uni e le altre. Con risultati a volte davvero egregi, perché dalle scuole e dalle università italiane escono ogni anno migliaia di ragazzi dotati di forte senso della comunità e preparati in modo eccellente. Che, spesso, sia detto di passaggio, devono cercare la loro strada all’estero perché la nostra società è incapace di utilizzare le loro alte professionalità. Con il che abbiamo minato un secondo luogo comune: quello secondo il quale la scuola sarebbe staccata dalla società. In realtà è la società ad essere staccata dalla scuola, perché non sa dare spazio neanche ai ragazzi più preparati.
Quel che rimane certo è che la soluzione al problema dal quale siamo partiti non può venire da divieti e proibizioni che, di fatto, cancellano i bambini, si liberano di loro escludendoli da luoghi e ambienti. Si può capire, certamente, la preoccupazione di ristoratori ed albergatori, per quanto mossi dal proprio tornaconto, legittimo, più che da istanze morali. Ma non si può condividere il principio che la soluzione passi per l’esclusione. E ciò sia in linea di principio che partendo da un elementare senso di giustizia: perché escludere tutti i bambini, anche quelli che vengono abituati a comportarsi in modo rispettoso degli altri, e che perciò sono del tutto “incolpevoli”?
Ma incolpevoli, a ben guardare, i bambini lo sono sempre, perché in fondo il loro comportamento deriva in gran parte dall’ambiente che respirano nel corso della loro formazione, a partire dai primi anni di vita. Perciò il problema riguarda non tanto loro  quanto gli adulti, che dovrebbero intendere di quanto sia urgente rifondare e ricostruire, pazientemente, alcuni valori minimi di convivenza quotidiana accettati da tutti.  Si tratta, più che di imparare regole di galateo, di rivedere stili di vita e di relazioni umane complessive: i bambini e  i ragazzi che neanche si accorgono dell’esistenza degli altri sono spesso, in realtà, figli del rampantismo arrogante che molti adulti continuano a scambiare per la modernità.

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(G. Leopardi, Zibaldone, 16. Settem. 1832).

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