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Tecnodestino, dipendenza tecnologica e uomo virtuale
di Paolo Gallina
Dedalo, Bari, pp. 256, € 16,00
Vincitore Premio Nazionale di Divulgazione Scientifica 2015
L’uomo e la tecnologia, si sa, da sempre sono in cammino insieme. L’uno non esisterebbe senza l’altra, e viceversa, sì che Giuseppe O. Longo ha potuto parlare dell’essere umano come «simbionte di biologia e di tecnologia»[1], nel quale il secondo elemento della simbiosi è andato via via aumentando il suo peso. Si tratta di un concetto che ora Longo riprende nella prefazione al libro di Paolo Gallina L’anima delle macchine, edito da Dedalo, descrivendolo come un processo di ibridazione, caratterizzato da un continuo innesto di strumenti e apparati nell’uomo, nella cui vita prende corpo sempre più la delega tecnologica, cioè il nostro affidare ai ritrovati tecnologici funzioni e compiti un tempo nostro appannaggio.
A scoprire questa simbiosi si può giungere attraverso varie strade: l’indagine storica del cammino dell’uomo nei secoli, la ricerca scientifica, l’analisi filosofica. Campi di conoscenza, questi, non estranei alla formazione di Paolo Gallina, che però sceglie di raccontare questa scoperta legandola alla sua concreta esperienza di vita e la fa risalire ad una visita in un villaggio del Sud Sudan, quando osservò che i ragazzini indigeni non soffrivano di solletico in quanto non avevano mai usufruito delle scarpe, cioè di un prodotto della tecnologia, ed avevano i piedi induriti dal procedere sempre scalzi. Il che, per converso, apre il campo ad un elenco sterminato di comportamenti e di caratteristiche acquisiti dell’uomo che vive nelle aree del mondo a più alto sviluppo tecnologico.
Quella di raccontare aneddoti tratti dalla propria esperienza è una modalità alla quale Gallina ricorre più volte, senza mai banalizzare, però, la complessità di un tema che affascina e inquieta, più o meno consapevolmente, l’homo technologicus. Una operazione, quella di far coesistere racconto della quotidianità e impostazione scientifica, resa possibile dalla “fortunata” circostanza che l’autore è ingegnere di meccanica specializzato in robotica (e docente di Robotica all’Università) ed ha vissuto per circa due anni in una capanna del Sud Sudan, potendo così conoscere anche «il benessere determinato dalla mancanza di tecnologia». Una condizione ideale per procedere ad indagare senza pregiudizi se sia mai possibile considerare che le macchine hanno, o avranno mai, un’ “anima”. Se possano provare passioni ed emozioni. Il che equivale a chiedersi anche se e in qual misura le macchine caratterizzate dall’intelligenza artificiale si avvicineranno alla condizione umana. E, ancora, quale sarà il nostro rapporto futuro con esse (con il connesso interrogarsi sulla possibilità che esse prendano il sopravvento sull’essere umano, fino a metterne in discussione la stessa sopravvivenza). Una inquietudine alla quale Gallina non si abbandona, forte di un modo di porsi che non è «né a favore né a sfavore della tecnologia». Ma non nel senso che questa lo lascia indifferente. Semplicemente considera il suo avanzare come un dato naturale: «Sono in molti a ritenere che una crescita tecnologica sia contro natura; all’opposto credo invece che lo sia una decrescita tecnologica». L’autore, tuttavia, non si nasconde le insidie contenute nel mutare delle proporzioni, a favore della seconda, fra la componente umana e quella tecnologica del simbionte. Se il delegare alle macchine funzioni che prima richiedevano l’impegno fisico dell’uomo (come, ad esempio, lo spostarsi velocemente) ci lascia relativamente tranquilli, la delega di attività caratteristiche della nostra mente (ad esempio il calcolo o la memoria) dà luogo ad una «fossilizzazione cognitiva»: «Come, nel processo di fossilizzazione, i minerali si sostituiscono, poco alla volta alla materia organica dell’essere vivente, così, nel processo di fossilizzazione delle attività cerebrali, macchine artificiali si sostituiscono ad alcuni schemi di pensiero». Un processo ritenuto irreversibile, perché la mente sceglie sempre, fra le diverse strade possibili, quella che la affatica di meno, mettendo in secondo piano quelle che richiedono un maggior dispendio di energie umane.
Tutto ciò rappresenta un bene o un male? «Fa parte della nostra natura rendersi innaturali» risponde Gallina con un gusto dell’ossimoro e del paradosso che più volte mette in mostra nel libro. Così come è parte costitutiva della nostra evoluzione la realtà virtuale, presente nelle aspirazioni e nella pratica di vita dell’uomo sin da quando la tecnologia era al livello degli attrezzi non dotati di alcun automatismo né “intelligenza”. Sì che l’autore si sente di affermare che «la tecnologia è il frutto della realtà virtuale, non viceversa».
Se, dunque, il processo di “fossilizzazione cognitiva” è irreversibile, se ne deduce che «il destino dell’uomo, qualunque esso sia, è un tecnodestino». Da affrontare, anche qui, senza angoscia, perché per alcune funzioni mentali che decadono, altre se ne aprono e si sviluppano, con le connesse modifiche alla «organizzazione neuronale del cervello». Con ripercussioni anche di ordine pratico, come la necessità di rimanere sempre connessi per poter accedere ad un patrimonio di informazioni che stanno sempre di meno nella nostra mente e sempre di più nelle macchine delegate. Alle quali si ricorre, per inciso, anche per selezionare le informazioni che ci occorrono tra la marea sterminata di quelle presenti in rete.
Naturalmente, molto ci sarebbe da indagare sulle possibilità dell’uomo di incidere con la propria volontà sul progredire o meno della “fossilizzazione. Così come la supposta irreversibilità (e ineluttabilità) dei processi di fossilizzazione fanno sgorgare molte domande. Alcune l’autore se le pone da solo e cerca delle risposte che non rappresentano una abdicazione dell’uomo nei confronti della tecnologia. Anche se non può (né è detto che dovrebbe tentare) di renderne reversibile il cammino, l’uomo deve procedere con essa conservando tutto intero il suo essere, comprese le «componenti più irrazionali» e l’intuito, che a volte ci aiuta a capire più della ragione («E’ il vantaggio –e lo svantaggio- dell’essere uomini»). E, alla fine, come Gallina nota a proposito del test di Turing, «è l’uomo stesso che assegna vita o non vita» alle macchine.
Il libro, nonostante il contenuto impegnativo, si presta ad una lettura piacevole e proficua anche per i lettori che poco o nulla sanno di robotica. Un po’ perché, come abbiamo già detto, sa tenere insieme le possibili esperienze dell’uomo comune con l’indagine scientifica, spiazzandoci spesso con il trasportarci dal salotto della scienza agli scantinati dell’irrazionale e, da lì, nei prati della fantasia. In un giuoco efficace che, tra l’altro, ci ricorda che la vita dell’uomo si svolge per intero, in tutta la sua ricchezza e complessità, anche nel rapporto con le macchine, con le quali si confronta, ma dalle quali non viene sminuita.
Un po’, anche, per il sapiente uso di metafore accattivanti, come quella della zattera, con la quale salpiamo per indagare se «una macchina possa essere considerata “vivente”» (ma anche se «una mente possa essere considerata alla stregua di una macchina)». E con un linguaggio –così lo definisce l’autore stesso- a volte un po’ naif, che potrà forse far storcere il naso a qualche studioso, ma agevola la comprensione ai lettori non specialisti.
Il libro di Gallina è assai più ricco di quanto si possa qui rendere conto. Ed investe campi diversi della ricerca scientifica, dalla robotica alle neuroscienze, dall’informatica, come è ovvio, alla psicologia, dando conto puntualmente dello stadio di sviluppo complessivo del cammino dell’intelligenza artificiale. Con uno sguardo particolare alla realtà virtuale che, come abbiamo già accennato, è vista non come un ritrovato dei nostri tempi che ci separa dalla vita reale, ma come «una propensione della mente, alimentata dalle ristrettezze e dalle difficoltà della vita». Tanto che la tecnologia della realtà virtuale quale oggi la conosciamo «è stata ed è alimentata da una tensione emotiva che abbiamo conquistato grazie all’evoluzione»
La vastità dei campi nei quali spaziano fa sì che al procedere e agli esiti di questo libro potrebbero essere poste obiezioni su piani diversi, a partire da quello filosofico. Ma lo stimolare obiezioni e discussioni non rappresenta certo un limite. Va, anzi, ascritto a merito di quei lavori che affrontano temi complessi con argomentazioni che scaturiscano tanto dalla competenza scientifica che dalla concretezza della quotidianità. In tale categoria rientra senz’altro il libro di Gallina, un autore al quale la “fossilizzazione cognitiva” non ha affatto spento la vivacità dell’indagine conoscitiva, la capacità –tutta umana- di raccontarla in modo interessante (e a volte anche divertente) e, soprattutto, la felicità che viene dal cercare nuove idee. Insomma, ci rassicura lo studioso, la felicità non è incompatibile con il tecnodestino. Nando Cianci