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La scuola serve a vivere meglio, non a produrre di più
(Nando Cianci)

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Scuolaslow è una piazza nella quale incontrarsi, discutere, raccontare le riflessioni, le esperienze, le pratiche intrecciate con l'idea di una scuola slow, vale a dire sottratta...

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MANKELLdi Hanning Mankell, Marsilio, Venezia, 2018, pp. 242 € 18,00

Il libro: È un libro d’amore per l’Africa, un viaggio attraverso i suoi miti, gli orrori del colonialismo, le persone che la popolano e che vivono l’amore per la loro terra anche nella miseria. Miseria che convive drammaticamente con la bellezza, la prima alimentata, la seconda oltraggiata o sfruttata dal colonialismo che su questa terra ha messo le sue mani rapaci.
Un contrasto che vive anche attraverso due personaggi emblematici: Felisberto, il servitore africano, e Dom Estefano, cadetto di una famiglia di padroni coloniali senza scrupoli che calpestano, insieme, la dignità fisica dei dominati e la loro antica spiritualità.

Una dominazione che però non fiacca l’animo di persone che continuano a cercare la loro felicità, della quale hanno, ovviamente, un concetto molto diverso da quello dei colonizzatori. Per questi essa stanel potere e nella ricchezza, che finiscono con l’essere solo avidità. Ben altra è la ricerca della felicità di personaggi come Peina che, con le sue gambe paralizzate, non smette di cercare di realizzare il desiderio di ballare, almeno per una volta, nell’oceano.
È una spiritualità che risulta incomprensibile per chi la guarda con la iattanza del predatore, ma che è ricca di una poesia che attraversare la gioia e il dolore. E per la quale Mankell prova nostalgia anche nel mentre si preannuncia uno sconvolgimento politico introdotto da truppe rivoluzionarie e che potrebbe migliorare le condizioni di vita dei tanti Felisberto che popolano la terra di ambientazione del romanzo.
Più che i singoli personaggi, per quanto coinvolgenti siano alcuni di essi, a svolgere la funzione di protagonista, dunque è l’Africa, con il suo carico di magie ataviche, di sofferenze spesso arrivate dall’esterno, di bellezza e di poesia. Un posto dove anche «i fiumi sono come fratelli: divisi, ma nati dalla stessa sorgente». Un posto dove «non ho mai visto nessuno aspettare un autobus che nemmeno si sapeva se sarebbe arrivato. Ma la gente viaggia ugualmente, lungo invisibili strade interiori». E dove c’è un’antica saggezza, tramandata dai vecchi: «Facciamo tutti parte del grande racconto che non ha un inizio e nemmeno una fine. Ogni vita è un’avventura, un paesaggio dove scorrono molti fiumi e le montagne spuntano sempre dalla nebbia dell’orizzonte. Ognuno di noi è parte di questo racconto infinito, la grande epopea dell’uomo su se stesso. Ad alcuni non è concesso di raccontarla fino alla fine. Forse è per questo che la vita è così piena di dolore. Ma ancor più di gioia. Perché il dolore cerca sempre di allontanarsi da se stesso, mentre la gioia vi si aggrappa». Un lungo racconto che non finisce mai.

Il risvolto: Sulla riva del fiume Umbeluzi, al confine tra la terra e l’acqua, un vecchio africano dall’incontenibile sorriso che brilla nell’oscurità dei tropici siede davanti al fuoco e, nel corso di una lunga notte, racconta. Racconta della sua grande famiglia e di Samima, l’antenata da cui tutti discendono; dell’arrivo dei bianchi, sbarcati con le loro spade e i loro bauli pieni di preconcetti; di un pianoforte abbandonato nel porto e di un cannocchiale rubato; di rivolte e libertà. Tra sogno e reale, le sue mille storie, unite in un caleidoscopio di leggende e ricordi frammentati, si fondono in un quadro grandioso che restituisce l’anima di un continente intero, e diventano la storia dell’uomo. Primo a rivelare le inquietudini del Nord e a portare il messaggio del giallo scandinavo nel mondo, Henning Mankell invita il lettore a sedere intorno al fuoco come lui fece innumerevoli volte – nella vita, vissuta «con un piede nella neve e uno nella sabbia», così come tra le pagine dei suoi libri – e ad ascoltare la voce dell’Africa, terra prodigiosa che pochi scrittori europei sono stati capaci di vedere e narrare con la sua stessa intensità.

L’incipit: In Africa hi scoperto qualcosa che avrebbe dovuto essere impossibile da scoprire. Qualcosa di talmente ovvio da dover essere dato per scontato.
Eppure mi ci sono voluti venticinque anni di sedizioni, sia fisiche che mentali, per rendermi seriamente conto del fatto che tutti gli uomini sono imparentati fra di loro.
Il colore della pelle, le lingue i modi di pregare gli dèi o di preparare la colazione, di considerare la stupidità o di creare arte, di lavare i vestiti o seppellire i morti, sono distinzioni che non potranno mai metterlo in ombra.

Tutti gli uomini sono parenti.

Apparteniamo alla stessa famiglia.

L’Africa è un uomo nero che s’intravede come un guizzo nell’oscurità. La notte sembra essere il suo dominio. Indossa un mantello di venti randagi.
Sta andando da qualche parte, e porta con sé un segreto.
È così che incontrai l’Africa, venticinque anni fa. Fu il primo segnale che il sonar africano restituì alla mia coscienza. Il primo tentativo di ricavare un calco dall’incontro con il continente nero.
Tutte le mie esperienze successive, così come si sono accumulate nel corso degli anni, sono un flusso continuo, senza margini né titoli di capitolo. Scivolano l’una nell’altra, quasi come strumenti poetici.
Ma hanno avuto anche un inizio.

 L’autore: Henning Mankell (1948-2015) ha vissuto tra la Svezia e il Mozambico. Scrittore e regista teatrale, noto per la serie del commissario Wallander, è autore di romanzi, polizieschi e libri per bambini tradotti in più di quaranta lingue con oltre quaranta milioni di copie vendute nel mondo. Con Sabbie mobili ha lasciato anche un libro testamento in cui si confronta con la malattia cui si è dovuto arrendere il 5 ottobre del 2015.

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