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(Nando Cianci)

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Scuolaslow è una piazza nella quale incontrarsi, discutere, raccontare le riflessioni, le esperienze, le pratiche intrecciate con l'idea di una scuola slow, vale a dire sottratta...

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LA GRANDE BELLEZZAIl Rinascimento, di Giuseppe Patota, Laterza Bari-Roma, pp. 384, € 24,00.

Le recensioni: Dopo il primo volume dedicato alla triade dei fondatori della tradizione letteraria italiana (Dante, Petrarca e Boccaccio), questo nuovo libro presenta un’altra triade, rappresentativa della fase più luminosa del Rinascimento italiano, quella del primo Cinquecento: Pietro Bembo, Ludovico Ariosto e Niccolò Machiavelli sono convocati quali esemplari rappresentanti di un’epoca in cui l’italiano letterario raggiunse una vera maturità, dando una compiuta lettura del proprio passato (è quanto fanno le Prose del Bembo) e ponendo le basi per il proprio futuro di lingua poetica fantastica – è la formula del Furioso – e di prosa capace d’una serrata, inesorabile forza argomentativa – come accade nel Machiavelli.
Il libro di Patota è particolarmente utile agli apprendisti avanzati nel campo della storia della lingua, ma riserva gradevoli sorprese anche a chi non deve solo studiare, ma insegnare e far apprezzare, ad esempio a un pubblico di giovani riottosi, una Grande bellezza che spesso si percepisce, ma non si riesce a spiegare convenientemente nella lettura dei classici.

 

Istituzionale, perché aggiornato sui risultati più recenti della ricerca specializzata sui tre autori (per almeno uno dei quali, Bembo, lo stesso Patota è una riconosciuta autorità), il volume sa sorprendere per l'approccio inusuale e sempre appassionato a certi problemi o a certe pagine: come quando ci introduce, in conclusione della parte dedicata al Cardinale, a un Bembo a cui non siamo abituati, quello giocoso e licenzioso dei Motti, con sberleffi plurilingui propri più del nobile uomo di mondo rinascimentale che del compunto porporato. Ma non c’è solo da ridere, se un fremito inquieto di preoccupazione percorre, riemergendo in più punti, le pagine di un libro che si propone di cercare una bellezza ormai inafferrabile, «tanto più nel tempo di oggi, oscurato almeno quanto quello di ieri dalla violenza e dall'intolleranza razzista, dalla guerra e dalla stupidità populista». Sono parole che non ti attenderesti, in un trattato di storia della lingua italiana. Ma che diran qualcosa ai lettori di domani sul clima dei tempi di oggi.

(da Lorenzo Tomasin, Il sole 24 ore, 24/03/2019)



E che dire dell’Orlando Furioso? Moltissimo (ed è quel che fa Patota); persino che potremmo definirlo un sequel, o come lo descrisse il pubblico di Ferrara che lo attendeva, una “gionta” (un’aggiunta) a l’Innamoramento di orlando, grande successo di Matteo Maria Boiardo. Ariosto di “gionte” ne fece parecchie: e untale atteggiamento compositivo – spiega Patota – evoca “non solo i prodotti più recenti della narrativa fantastica ma anche le tante serie televisive e cinematografiche di successo, gli uni e le altre articolati in molti episodi”. Ariosto, insomma, è il padre nobile del fantasy.

Bembo (veneto) e Ariosto (emiliano) sono molto più vicini del fiorentinissimo Machiavelli all’idioma di Petrarca e Boccaccio. Ma i loro scopi sono diversi: i primi usano la lingua per produrre bellezza – come ben dimostra Patota – mentre il secondo la utilizza per scrivere “cosa utile a chi la intenda”. Quello di Machiavelli è un fiorentino argenteo, una varietà della lingua che si affermò a Firenze nel Quattrocento, con parecchie novità rispetto a quello aureo di Dante, Petrarca e Boccaccio. Niccolò la usa per svolgere le sue funzioni di segretario della Signoria, per scrivere e raccontare la politica: cosa che fa in volgare e non in latino com’era stato normale fino ad allora. Una scelta rivoluzionaria: esprimere concetti politici prescindendo dal greco e dal latino, in una lingua efficace, incisiva e mai banale: molti termini del linguaggio politico e anche del linguaggio comune usati da Machiavelli sono adoperati ancora oggi»

(da Nicoletta Martinelli¸ Avvenire, 2/01/2019)

 
La sintesi finale è pienamente condivisibile: «Bembo e Ariosto interiorizzano perfettamente, a livelli e con finalità diverse, una lingua che non è la loro (il fiorentino letterario del Trecento) per ordinare e produrre bellezza; Machiavelli adopera, in modo del tutto naturale, una lingua che è pienamente sua (il fiorentino parlato nel primo Cinquecento) per “scrivere cosa utile a chi la intende”» (p. 323). Alla fine del volume un prezioso glossario aiuta i profani della linguistica a comprendere i tecnicismi disseminati nel corso della trattazione. In ultima analisi, si può dire che Patota ha vinto la sua sfida, ovvero ha dimostrato, attraverso tre scrittori fondamentali del Rinascimento (un veneziano, un ferrarese e un fiorentino), come l’italiano sia bello grazie alle proprie insanabili contraddizioni: insieme vivo e letterario, di matrice fiorentina e aperto agli idiomi del resto d’Italia, sempre più lontano dal latino e in perenne dialogo con esso. Gli italiani sono diventati un popolo (non una nazione, direi per fortuna) grazie a questa lingua stranamente bella.
(da Luigi Spagnolo, Treccani.it 03/04/2019)

 

Il risvolto: Le opere d’arte, che siano fatte di linee e di colori o che siano fatte d’inchiostro e di parole, devono produrre bellezza. Di qui il titolo La grande bellezza dell’italiano, di qui l’organizzazione del libro in sale, come accade nelle mostre e nei musei. In ciascuna è esposto il magnifico italiano di Pietro Bembo, Ludovico Ariosto e Niccolò Machiavelli. Ascoltando il suono delle loro parole, che echeggia da una parete all’altra, rincorrendo il ritmo dei loro versi, che scivola sul marmo dei pavimenti, ammirando la forma delle loro frasi, che adorna volte, colonne e soffitti, compiamo un atto d’amore per la nostra lingua. E lanciamo al tempo stesso un atto di accusa nei confronti di chi la sta progressivamente trasformando in una lingua violenta, rozza, insultante. In una parola: brutta. Le opere d’arte, che siano fatte di linee e di colori o che siano fatte d’inchiostro e di parole, devono produrre bellezza. Di qui il titolo La grande bellezza dell’italiano, di qui l’organizzazione del libro in sale, come accade nelle mostre e nei musei. In ciascuna è esposto il magnifico italiano di Pietro Bembo, Ludovico Ariosto e Niccolò Machiavelli. Ascoltando il suono delle loro parole, che echeggia da una parete all’altra, rincorrendo il ritmo dei loro versi, che scivola sul marmo dei pavimenti, ammirando la forma delle loro frasi, che adorna volte, colonne e soffitti, compiamo un atto d’amore per la nostra lingua. E lanciamo al tempo stesso un atto di accusa nei confronti di chi la sta progressivamente trasformando in una lingua violenta, rozza, insultante. In una parola: brutta.

L’incipit: GRASS   Sì, certo… No… no, eh? Gli italiani li conosco bene. Bugiardi, bravi a parole, furbetti e scansafatiche, pancia al sole e mani sulla pancia.
NICOLA   Queste mani hanno restaurato le cattedrali di Pisa, Lucca, Firenze!
ANDREA   Di chi sei figlio tu? Noi siamo i figli dei figli dei figli di Michelangelo e di Leonardo. Di chi sei figlio tu?
MABEL   Viva Firenze!
EDNA   Viva Firenze… Noi ci siamo state una volta.
MABEL   È la città più bella del mondo.

Questo dialogo a tre voci, concluso da un elogio a due dedicato a Firenze, ricorre in una scena memorabile di un memorabile film di Paolo e Vittorio Taviani, Good Morning Babilonia (1987). La risposta, orgogliosa e sofferta, al rifiuto sprezzante di dar loro un lavoro pronunciato da Grass, un piccolo opportunista americano, è di due fratelli toscani, Nicola e Andrea Bonanno, ultimi discendenti di una famiglia che per generazioni ha restaurato chiese, cattedrali e altri segnacoli di bellezza sparsi per l’Italia, i quali proprio dall’Italia, per la crisi in cui versa il loro mestiere, sono partiti alla volta degli Stati Uniti in cerca di fortuna. Inizialmente costretti a occupazioni degradate, finalmente riescono a trovare lavoro nel magnifico padiglione italiano dell’esposizione universale di San Francisco; da l’ la loro bravura, unita a un po’ di spavalderia e di fortuna, li porta a lavorare per un grande americano: nientedimeno che il regista David Griffith, che è alla ricerca ossessiva di artigiani italiani, gli unici, second lui, capaci di allestire scenografie degne del suo Intolerance, il capolavoro cinematografico del 1916 dedicato alla condanna di tutte le forme di violenza e d’intolleranza.

C’è qualche buona ragione per aprire un libro dedicato alla bellezza dell’italiano di Pietro Bembo, Ludovico Ariosto e Niccolò Machiavelli evocando un frammento di questo film? La risposta, a mio avviso, è sì.
Mentre incombono gli echi sinistri di guerre che in tempi e modi e con conseguenze diverse devastarono l’Italia, l’Europa e il mondo, quattro di questi cinque italiani (Nicola e Andrea Bonanno nel primo scorcio del Novecento, Pietro Bembo e Ludovico Ariosto nel primo del Cinquecento) evocano il nome di Michelangelo, e tre (i fratelli Bonanno e Ludovico Ariosto) anche quello di Leonardo; il quinto (Niccolò Machiavelli), concittadino di Michelangelo e di Leonardo, mentre lavora per Firenze, «la città più bella del mondo», incrocia con la sua traiettoria quella di Leonardo: «vari indizi rendono molto probabili uno o più incontri» fra i due.
[…] Raccontare La grande bellezza dell’italiano obbliga a inoltrarsi in luoghi e in tempi fitti d’intrecci fra lingua, arte e storia.

L’autore: Giuseppe Patota, professore ordinario di Linguistica italiana nell’Università di Siena-Arezzo, è Accademico della Crusca, membro del suo Consiglio Direttivo e socio nazionale dell’Accademia dell’Arcadia. Ha al suo attivo circa centotrenta pubblicazioni scientifiche, didattiche o divulgative dedicate alla lingua italiana, alla sua storia e al suo insegnamento. Alcuni suoi lavori sono stati tradotti e pubblicati in Francia e in Giappone. È condirettore, con Valeria Della Valle, del Nuovo Dizionario Treccani e consulente scientifico del Thesaurus Treccani, entrambi usciti nel 2018. Da oltre dieci anni è consulente di Rai Scuola per la realizzazione di programmi destinati all’insegnamento dell’italiano a stranieri. Per Laterza ha pubblicato Prontuario di grammatica. L‘italiano dalla a alla Zeta (2013) e La grande bellezza dell’italiano. Dante, Petrarca, Boccaccio (2015).

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