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(Nando Cianci)

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Scuolaslow è una piazza nella quale incontrarsi, discutere, raccontare le riflessioni, le esperienze, le pratiche intrecciate con l'idea di una scuola slow, vale a dire sottratta...

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IAQUINTA

Genitori ed educatori durante e dopo la pandemia, il Mulino, Bologna, 2022, pp. 192, € 15,00

Abbiamo avuto sotto gli occhi per due anni le difficoltà che le varie sospensioni delle attività in classe hanno comportato e che la cosiddetta didattica a distanza non ha saputo o potuto arginare. Cosa che era assai problematico fare, per almeno due ragioni. La prima sta nell'essenza stessa di una tale modalità, poratta a rinvigorire quella pratica di relazioni che, fondandosi su un contatto in cui la corporeità scompare, vira verso la simulazione della vita. La sconda è rappresentata dalla evidente impreparazione del mondo scolastico ad attivare un sistema la cui complessità, non solo tecnica ma soprattutto riguardante le relazioni umane su cui si fonda l’educazione, sfuggiva tanto ai timonieri della cosa pubblica quanto a molti degli operatori sul campo. Il che non significa, però, che la scuola nel suo insieme se ne sia stata a guardare e non abbia messo in campo le energie che poteva.

Questo periodo di difficoltà è stato accompagnato da una colonna sonora di lamentazioni ed enunciazioni per lo più vane. Molti adulti pensavano di stare dalla parte dei bambini inondandoli di commiserazione, contribuendo ad indurre il senso di una gioventù scippata loro da un destino cinico e baro. Di guasti irreparabili nell’animo e nell’avvenire delle nuove generazioni, verso la cui capacità di stare al mondo e verso le cui risorse per affrontare le difficoltà non si manifestava così alcuna fiducia. Sono stati piagnistei a volte strumentali (da parte di chi non voleva o non sapeva far fronte alle proprie responsabilità) e a volte dettate dalla sincera disperazione di chi non sa che pesci prendere. Poche sono state, in questi frangenti di depressione, le menti e le voci che hanno continuato ad esercitare l’analisi e ad osservare l’andare delle cose con l’intento di capire e cercare il bandolo della matassa. Fra queste merita particolare attenzione il lavoro di Tiziana Iaquinta, docente di pedagogia all’Università di Catanzaro, di cui il Mulino ha appena edito Unlocked. Genitori ed educatori durate e dopo la pandemia.
L’opera inquadra il problema in una cornice che ne ridimensiona la portata contingente e lo colloca su un arco di lungo respiro. Rovescia subito l’atteggiamento strabico di che vede le nuove tecnologie come una presenza pervasiva della vita delle sole nuove generazioni e le colloca nella vita reale anche di quelle adulte. Come in effetti è. Analizza una crisi degli adulti che preesiste anche alla pandemia (e che non riguarda solo la loro attività educativa) e che, naturalmente, viene accentuata dagli stravolgimenti delle pratiche di vita indotti dalle chiusure della possibilità di movimenti e di incontro, di relazioni umane dirette, di quotidiana frequentazione di ambiti scolastici e lavorativi dove la presenza dell’Altro è marcata e tangibile. Stravolgimenti che fanno traballare valori che sembravano costituenti irrinunciabili del nostro essere.
Attraverso queste ed altre difficoltà si inoltra il libro, fotografando situazioni, ascoltando le voci di ragazzi e genitori, con l’ausilio di una visione che l’innalza dalla mera quotidianità ma, al contempo sa che in educazione anche i particolari e i dettagli che a volte sfuggono allo sguardo di insieme sono significativi.
La crisi degli adulti, vista attraverso difficoltà preesistenti, contemporanee e successive al Covid, viene confrontata con lo sguardo che di essi hanno avuto le generazioni incappate nella pandemia nel periodo delicato della formazione. Una tale dialettica non si svolge, naturalmente, nel contesto limitato della scuola e della famiglia, ma chiama in causa l’intera società e le istituzioni che la governano. In questo senso le modalità con le quali le regole emanate dal governo venivano osservate o trasgredite sono analizzate anch’esse nel significato che assumono nel processo educativo, dove il campo dei sì e quello dei no che gli adulti sanno o non sanno dire viene enfatizzato dalla pandemia, ma conosce da tempo le sue problematicità.
L’insieme del discorso si nutre, ancora, come già detto, del carico emotivo ulteriore che l’isolamento durante la chiusura ha fornito ad esperienze già di per sé dure nel cammino di formazione, quali il dolore, la sofferenza, la fragilità. Ed evidenzia come si tenda a negare o rimuovere tali esperienze, di cui invece il lavoro educativo dovrebbe farsi pienamente carico.
Tutto il lavoro di ricerca, descrizione e analisi mette capo, infine, al tentativo di trarre insegnamenti dal Covid e a delineare una prospettica educativa adatta a tempi così difficili. Ripartendo dalla valorizzazione massima proprio di ciò che l’isolamento ha messo in crisi: la relazione con l’Altro, già del resto pesantemente minata in precedenza dall’avanzare di egoismo, individualismo, indifferenza e ostilità. Una relazione che si nutre anche di speranza e che è capace di dare spazio alla gioia.
Perché c’è sempre una parte del cammino che, pur nella imprevedibilità e provvisorietà del nostro andare, dipende da noi. Specie se sapremo riconoscere queste compagne di viaggio e coglierne la portata educativa.

Il risvolto: Da tempo si nota come adulti e genitori abbiano atteggiamenti e comportamenti sempre più lontani dalla loro età e sempre più vicini, per non dire sovrapposti, a quelli dei propri figli adolescenti e preadolescenti. L’emergenza sanitaria e i lockdown hanno reso questi comportamenti ancora più contraddittori e irrazionali. Crescono i conflitti nella relazione genitori‐figli, i disagi da eccesso di prossimità, e aumentano anche indifferenza, incapacità o non volontà nell’osservanza delle regole, sempre più vincolanti a seguito degli interventi del governo. In questo volume, l’autrice ci accompagna nel mondo della relazione educativa al tempo del Covid e mostra a noi adulti e genitori come è cambiata, quali aspetti la pandemia ha esasperato, quali ricadute permangono tuttora e come possiamo affrontarle.

L’incipitLa genitorialità, intesa come il lungo apprendistato per imparare a essere genitori, è da sempre una questione complessa e lo era anche prima dell’arrivo della Sars-Cov-2. Le difficoltà insite nell’esercizio del ruolo genitoriale non sono infatti una questione recente. Seppure per ragioni diverse, sia l’autoritarismo del passato Le difficoltà insite nell’esercizio del ruolo genitoriale non sono infatti una questione recente. Seppure per ragioni diverse, sia l’autoritarismo del passato sia il laissez faire contemporaneo sono aspetti della complessità dell’educativo. A voler rappresentare in modo sintetico l’essere genitori oggi, si può ricorrere all’immagine della pressione dei piedi su un terreno fortemente sdrucciolevole e in pendenza che, fino alla meta, rende precario e incerto ogni passo. E questa immagine vale anche per il passato, quando l’educazione delle giovani generazioni era caratterizzata da metodi impositivi, la cosiddetta autorità dei padri, che fanno apparire il compito di educare più semplice nel loro tempo che nel nostro.
Nell’ultimo trentennio la crisi dell’adulto educatore si è fatta più profonda e si è sovrapposta a una crisi generale che riguarda la stessa identità e fisionomia dell’adulto qualunque sia il suo ruolo. La questione che è da tempo oggetto dell’analisi e della riflessione di psicologi, sociologi, pedagogisti si è mostrata anche nell’attuale pandemia attraverso atteggiamenti e comportamenti che saranno oggetto di riflessione nei capitoli successivi.
Luigina Mortari [2019] sostiene che il concetto di «cura» educativa, prima che atto rivolto all’Altro, all’educando, è azione verso sé stessi. È sollecitudine, attenzione, premura, impegno verso la propria persona; termine che si connota per la ricchezza di significato in ragione della molteplicità degli aspetti che vi sono implicati. Cura intesa come ricerca di ciò che autenticamente costituisce la propria individualità, impiego delle energie verso obiettivi di vita, impegno a realizzare il proprio progetto esistenziale e, non ultimo, relazionalità significativa. La cura di sé è attribuzione di senso e pienezza esistenziale.
La presenza, e per certi versi l’invadenza delle tecnologie di comunicazione e i nuovi modi di interazione sociale hanno posto però, in penombra il processo di conoscenza di sé che ciascuno è chiamato a compiere nel corso della vita e ci hanno indotto a dare un’importanza solo di superficie all’Altro, indispensabile nel processo di conoscenza di sé stessi, secondo il convincimento che per vivere bene basti emulare gli influencer e le celebrità presenti sui social media, luoghi in cui con sempre maggiore frequenza si finge la vita.

L’autriceTiziana Iaquinta insegna pedagogia nell’Università degli Studi Magna Graecia di Catanzaro. Con il Mulino ha pubblicato: «Generazione TVB. Gli adolescenti digitali, l’amore e il sesso» (con A. Salvo, 2017).

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