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La scuola serve a vivere meglio, non a produrre di più
(Nando Cianci)
Cos'è Scuolaslow
Scuolaslow è una piazza nella quale incontrarsi, discutere, raccontare le riflessioni, le esperienze, le pratiche intrecciate con l'idea di una scuola slow, vale a dire sottratta...
Un dialogo fra generazioni, di Giovanna Cosenza, Enrico Damiani Editore, pp. 272, € 16,00.
In Cerchi di capire, prof, Giovanna Cosenza, attingendo ai canali sempre aperti con i suoi studenti, dal blog alle conversazioni al supermercato, racconta incontri e storie che attraversano i grandi temi dell’esistenza: genitori, amicizie, amore, sogni, lavoro. Ne emerge la fotografia non di una, ma di più generazioni di ventenni cresciuti tra ripetute crisi economiche e ora una pandemia
Eppure, dice Cosenza, tutto dipende da come guardi il mondo. Se è vero che molto è cambiato negli ultimi quarant’anni, i vissuti della giovinezza e le sfide della vita restano molto più simili, nelle diverse generazioni, di quanto siamo abituati a pensare. Un contagioso senso di “vecchiaia” ci pervade tutti, dai ventenni ai quaranta, cinquanta, sessantenni. Un senso di impotenza che gli adulti continuano a subire e coltivare, e che spesso i ragazzi si ritrovano addosso loro malgrado.
Pensieri per il nostro tempo, di Ivano Dionigi, Raffaello Cortina, Milano, 2020, pp. 112, 12,00.
Il libro: In questi tempi di incertezza e solitudine, ci sentiamo smarriti e cerchiamo di capire quel che sta accadendo intorno a noi. Cos’hanno da dirci Virgilio e Lucrezio, Seneca e Agostino, che affrontano questioni e interrogativi dibattuti già duemila anni fa ad Atene e Roma? Ci sono voci che, resistendo al tempo, aiutano ad alimentare una nuova speranza nonostante la crisi.
Questo libro compie un viaggio, in più tappe e con brevi percorsi, tra passato e presente, tra antichi e moderni. Il punto di partenza è occasionale: una parola tradita, che reclama la restituzione del proprio volto, un episodio di cronaca, un dibattito su politica, scuola, lavoro, una riflessione su tragedie improvvise che possono colpire l’umanità. Piccoli pensieri sulla nostra identità e sul nostro futuro, formulati da altri viaggiatori prima di noi, da altri compagni di viaggio.
Alla ricerca di una risposta alla domanda di Agostino: “Tu chi sei?” (Tu quis es?). La domanda di ognuno di noi.
di Auður Ava Ólafsdóttir, Einaudi, Torino, 2020, pp. 208. € 18,50.
Nell’Islanda degli anni Sessanta una donna dovrebbe solo gestire la casa e occuparsi dei figli. O, al massimo, ambire al titolo di Miss Islanda. E questo vale anche per Hekla, la splendida ragazza che è appena arrivata a Reykjavík da un angolo remoto dell’isola. In tanti le suggeriscono di partecipare al prestigioso concorso di bellezza, ma i suoi sogni non prevedono fornelli, pannolini o coroncine: Hekla vuole diventare una scrittrice. Non basteranno un buon impiego, un gatto o l’amore di un poeta a farle cambiare idea. Perché Hekla, che porta il nome di un vulcano, ha un cuore inquieto e in sé la forza di un fiume di lava incandescente.
Il libro:Guardano il cielo stellato ma non si meravigliano, sono angosciati dall’esistenza ma non sono tragici, elaborano ricette ma non redigono nuove tavole della legge, parlano di tutto ma non di noi. I contemporanei non ci sono attuali. Sono i classici i competenti in umanità e i maestri di saggezza: con i loro precetti – obbedire al tempo, seguire il demone, conoscere se stessi, non eccedere, conoscere la natura – ci soccorrono nel rispondere alla domanda di Agostino: «Tu chi sei?». Sono i classici che, liberandoci dalla saturazione e dalle spire del presente, ci ricollegano alla memoria dei trapassati e ci interpellano sulla responsabilità verso i nascituri, rendendoci partecipi di quella grande comunità – res publica maior la chiamava Seneca – che ci precede e ci eccede. Il libro spinge questa riflessione fino ai nostri giorni. Intercetta le domande dei giovani, abitati da una divorante ansia di verità e chiamati a una missione supplementare e difficile: arrivati in un mondo fatto su misura per i loro padri, devono costruirne uno per loro stessi e per i loro figli. Torna così attuale l’invito che Max Weber, echeggiando la saggezza classica, rivolse ai giovani nei giorni segnati dalle macerie della prima guerra mondiale. Alla loro domanda: «Professore, cosa dobbiamo fare?», rispose semplicemente: «Ognuno segua il demone che tiene i fili della sua vita».
A cura di Domenico Cersosimo e Carmine Donzelli, Donzelli, Ro,a, 2020, pp. 337, € 18,05.
Il libro: Nel dicembre del 2018 Donzelli pubblicava il volume Riabitare l’Italia, frutto dell’originale lavoro di studiosi di diverse discipline, di intellettuali e di decisori pubblici. L’idea di fondo era dare evidenza ai nuovi termini della questione territoriale nel nostro paese, spostando l’asse dalla tradizionale centralità del punto di vista metropolitano per porre al centro quelle fasce di popolazione e quei territori coinvolti in un processo di sofferenza demografica e di contrazione insediativa. L’uscita del volume ha suscitato un interesse e un dibattito così intensi da convincere il gruppo di progetto a dare continuità e organizzazione al cantiere originario. «Riabitare l’Italia» diventa così un’associazione, Un progetto editoriale, un «marchio» che si impegna a condurre un itinerario di conoscenza e di condivisione civile. La strada è tracciata nel Manifesto che apre il volume, un documento programmatico che riunisce temi e filoni di ricerca del gruppo. Per ampliare la discussione e testare la «sostenibilità» analitica del documento, il Manifesto è stato sottoposto al vaglio di cinque autorevoli commentatori. Il patrimonio di idee condivise del progetto è stato articolato in un ideale alfabeto per «riabitare l’Italia»: ventotto parole chiave che costituiscono una prima «cassetta degli attrezzi» con l’intento, nelle parole dei curatori, di «contribuire a creare una nuova immagine aggregata dell’intero paese», di dare conto delle tante Italie che compongono l’Italia, per «ricomprenderle tutte, fino ad arrivare a includere gli stessi “margini del centro”».
Le parole chiave: Abbandoni, F. Curci e F. Zanfi; Accessibilità, A. Debernardi; Acqua, G. Becciu; Boschi, R. Romano; Cambiamento climatico, G. Carrosio; Capitale quotidiano, A. Salento; Comunità, F. Tantillo; Confini, F. Barca; Cooperazione, G. Teneggi; CURA, G. Costa; Disuguaglianze, R. Nisticò; Fragilità territoriali, A. Lanzani; Immaginazione, P. L. Sacco; Innovatori, F. Barbera; Luoghi, D. Cersosimo; Mappe, G. A. Barbieri; Margine, C. Donzelli; Migranti, A. Membretti; Montagna, G. Dematteis; Paese, V. Teti; Patrimonio, A. De Rossi e L. Mascino; Persone, P. Clemente; Politiche, S. Lucatelli; Resilienza, A. Faggian; Rigenerazione, A. De Rossi e L. Mascino; Risorse, M. Bussone; Scuola, D. Luisi e C. Renzoni; Terra, A. Corrado e C. Ebbreo.
Le recensioni:
[…] La posta in gioco del Manifesto per riabitare l'Italia (Donzelli) è impegnativa. Un volume fitto di voci e di domande: nel 2020 ha senso parlare di tre Italie nord, centro e sud? Ha ancora senso polarizzare città e campagna? E se proprio la crisi sanitaria fosse un'occasione per liberarsi di schemi che, nei fatti, già non funzionano più? L'epidemia da Covid 19 ha assegnato una nuova rilevanza alla dimensione locale: «Non è solo la rivincita delle aree marginali rispetto a quelle centrali, è anche spiega il sociologo Rocco Sciarrone quella delle città rispetto alle regioni. E, come osservato da molti, è anche la rivincita dello Stato». Si parte, come il titolo del libro indica, da un manifesto: quello elaborato da Domenico Cersosimo e Carmine Donzelli come approdo di un ampio e articolato confronto con istituzioni, dipartimenti universitari, centri di ricerca, associazioni territoriali. Una battaglia intellettuale e civile «per una nuova e più consapevole autorappresentazione dell'Italia contemporanea, che metta nel giusto valore il significato e il peso di quelle parti del paese che soffrono di particolari difficoltà, e che al tempo stesso costituiscono inesplorate opportunità di coesione, di eguaglianza, di benessere». […] Gli autori del manifesto sgombrano il campo dal possibile equivoco su istanze localiste («C'è bisogno di grandi politiche nazionali, non solo per i territori marginalizzati, ma a partire da quelli») e individuano responsabilità politiche e amministrative: troppo a lungo, partiti, istituzioni pubbliche, soggetti collettivi della rappresentanza «hanno progressivamente rinunciato a leggere e promuovere il cambiamento, affidandosi piuttosto ai miti di una società non organizzatile, perché "liquida", di una superiorità delle politiche avulse dai contesti, "cieche ai luoghi"». E invece quei luoghi vanno osservati, e osservati il più possibile da vicino, vanno esplorati. Ne va recuperata, fuori dai cliché, la ricchezza territoriale, antropologica, sociale e culturale. Così un Paese si rigenera: non basta riqualificare, occorre ricostruire le economie locali, lavorare sull'innovazione a base culturale, favorire i processi di riuso del patrimonio, l'agricoltura sociale, le pratiche di gestione condivisa dei beni, le nuove forme di partnership pubblico-privato. […]
(Paolo Di Paolo, la Repubblica, 7 luglio 2020)
I virus per diffondersi approfittano dell'elevata mobilità delle persone e della concentrazione sociale. Queste due condizioni, che la società del nuovo millennio ha fortemente voluto per sostenere il suo modello produttivo, si sono rivelate essere delle debolezze sostanziali di fronte alla pandemia. […]
È evidente che molti punti di vista in questi sei mesi sono cambiati, e molti processi, prima scontati, saranno ridiscussi e ripensati. Tra questi ci sono indubbiamente quelli che hanno spinto verso un 'urbanizzazione senza limiti, verso spostamenti quotidiani continui di grandi masse di persone (con conseguente inquinamento e grande spreco di tempo), verso migrazioni da territori di provincia decentrati in direzione delle enormi periferie dei grandi centri urbani. Siccome sono in tanti quelli che in questi mesi ci stanno spiegando che molte cose vanno riorganizzate, un’idea che potrebbe meritare di essere considerata è quella di pensare a una nazione come composta di moltissimi centri di limitate dimensioni. Quella di ripensare il territorio come un grafo di molti luoghi fortemente connessi, non dominato da stelle giganti ognuna composta da un grande centro e moltissime punte periferiche che, come le supernove, rischiano di esplodere con gravi danni. Questo processo potrebbe servire a riconnettere non soltanto economicamente, ma anche socialmente e culturalmente 'Italia che non ha di certo risolto i suoi problemi con la forte urbanizzazione che ha diviso le famiglie, ha aumentato le disuguaglianze sociali e ha generato periferie urbane con scarsi servizi e forti disagi. Periferie popolate da lavoratori a basso reddito e disoccupati che negli hinterland urbani vivono marginalizzazioni e carenze di servizi peggiori di quelle vissute da chi abita nei piccoli paesi.
Alcuni di questi temi sono affrontati e discussi nel recente Manifesto per riabitare l'Italia che Domenico Cersosimo ha curato insieme all'editore Donzelli e che invita a invertire lo sguardo per ripensare a come "ricucire" l'Italia, non soltanto pensando alle difficoltà della provincia, ma anche tentando di risolvere i suoi problemi insieme a quelli dei grandi centri urbani. Problemi e fragilità che la pandemia ha mostrato con maggiore evidenza. […]
(Domenico Talia, Il Quotidiano del Sud, 20 luglio 2020)
L’incipit: Da troppo tempo manca una rappresentazione efficace delle articolazioni territoriali del nostro paese. Manca una visione d’insieme dell’Italia d’oggi capace di dar conto delle criticità e delle potenzialità dei differenti territori, delle aree in espansione e di quelle in sofferenza. Manca una mappa aggiornata delle omogeneità raggiunte e delle disuguaglianze vecchie e nuove, che possa preludere a un’iniziativa riformatrice.
L’ultima grande rappresentazione territoriale e sociale, quella delle «tre Italie», imperniata sulla scoperta del ruolo dei distretti e sulla loro radicata origine storica, risale ormai a quarant’anni fa. Quella immagine aveva avuto il merito indubbio di suggerire una nuova visione d’insieme, proponendo l’idea di un possibile sviluppo nazionale articolato su nuovi equilibri territoriali, e mettendo in discussione il topos del dualismo tra nord e Sud, che aveva dominato ininterrottamente la scena per oltre un secolo, dall’Unità in avanti.
La fine del primo quarantennio repubblicano si incaricò di mostrare l’inadeguatezza delle rappresentazioni fino a quel punto imperanti. Decomposta e destrutturata l’idea delle due Italie – nata da una nobile idea di solidarietà territoriale e approdata a uno sfaldamento delle politiche pubbliche che avrebbero dovuto risolvere il «divario» –, anche quella delle tre Italie conobbe un veloce logoramento, sotto i colpi del declino della grande impresa del nord-ovest, dell’evoluzione in senso gerarchico del modello distrettuale del Centro-nord-est e della frantumazione sociale e produttiva del Mezzogiorno.
Sostenuta dalla spinta politica espressa dal fenomeno leghista, e dal richiamo al federalismo regionalista cui si ispirava, si fece strada una rappresentazione dimessa, mai esplicitamente dichiarata, ma sostanziosamente praticata e diffusa, di pura constatazione delle differenze esistenti. Come se l’intento non fosse più quello di armonizzare i contrasti, ridurre le disuguaglianze, organizzare le relazioni fra territori in una logica di sviluppo integrato, ma semplicemente quello di consentire la pratica di uno sviluppo spontaneo, che da solo avrebbe portato al migliore degli equilibri possibili. In particolare, l’idea che si è fatta strada in questi ultimi decenni fino a diventare dominante, e che le classi dirigenti politiche ed economiche, in particolare del nord, hanno alimentato a lungo con il sostegno attivo di parte rilevante della grande stampa nazionale, è quella di una presunta «superiorità» del modello metropolitano e delle sue doti di innovatività, creatività, attrattività. Una narrativa senza dubbio efficace per catturare visibilità e interessi e per dettare l’agenda delle politiche pubbliche, per trasferire risorse a chi già ne ha di più, ma molto meno efficace in termini di risultati complessivi, dal momento che l’Italia è cresciuta pochissimo nell’ultimo quarto di secolo, tanto rispetto al passato quanto agli altri paesi europei, e nel frattempo, e soprattutto, ha visto crescere al suo interno la forbice delle disuguaglianze.
La pandemia da Covid-19 ha disvelato in modo drammatico l’artificiosità di quella rappresentazione unilaterale, evidenziando la debolezza e la vulnerabilità dell’«eccellenza» metropolitana autocentrata: la concentrazione dei servizi sanitari in pochi e grandi ospedali specializzati, quantunque di qualità, a scapito di diffusi presidî di medicina territoriale e di servizi socio-sanitari di prossimità, non poteva che soccombere di fronte alla virulenza dello shock esogeno. La crisi sanitaria suggella ulteriormente la crisi di egemonia del «centro» e la correlata inadeguatezza della rappresentazione delle aree urbane, soprattutto di quelle demograficamente più estese e dense, come gli unici incubatori di futuro, come i luoghi paradigmatici dell’innovazione e della trasformazione economica e sociale, come lo spazio di addensamento della resilienza.
Il Manifesto che qui presentiamo assume un’altra postura: parte dall’idea che sia possibile – e necessaria – una nuova visione d’insieme dell’Italia, in grado di raccontare le sue contraddizioni e i suoi squilibri, ma anche i suoi punti di forza e le sue potenzialità positive, assumendo come obiettivo la piena coesione tra le diverse aree del paese, e dunque il migliore equilibrio possibile tra le persone, le risorse e i territori.
I curatori:
Domenico Cersosimo (Laino Borgo, 1952) insegna Economia regionale presso l’Università della Calabria. È autore di diversi contributi sui temi dei sistemi produttivi locali e dell’economia e delle politiche per lo sviluppo del Mezzogiorno.
Carmine Donzelli (1948) dirige la casa editrice che ha contribuito a fondare nel 1993. Nel 2012 ha pubblicato una edizione con prefazione, introduzione e commento del Quaderno di Antonio Gramsci su Machiavelli, con il titolo Il moderno Principe.