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(Nando Cianci)

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Scuolaslow è una piazza nella quale incontrarsi, discutere, raccontare le riflessioni, le esperienze, le pratiche intrecciate con l'idea di una scuola slow, vale a dire sottratta...

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LEDUCAZIONE DEGLI ITALIANILaicità, progresso e nazione nel primo Novecento, di Giorgio Chiosso, il Mulino, Bologna, pp. 304, € 22,00.

Il libro: L’affievolirsi delle “granitiche certezze” del positivismo e il dibattito sul ruolo e la “natura” della scienza alimentarono, a cavallo tra Ottocento e Novecento, un crogiuolo di studi e riflessioni che investirono, insieme, il mondo culturale e quello politico. Il dibattito non poteva, ovviamente, escludere la funzione della scuola, vista come strumento principe per elevare il livello culturale della popolazione da poco riunificata in un unico regno, dove l’analfabetismo era condizione diffusa e maggioritaria. Un giovane stato che aveva, inoltre, la necessità di formare una classe dirigente all’altezza delle mutate condizioni politiche, culturali ed economiche dei tempi. Compito, quest’ultimo, anch’esso ricadente tra quelli generalmente attribuiti alla scuola.

Del dibattito, ricco ed ampio, che si sviluppò in Italia, ci dà conto in questo libro Giorgio Chioso con una ricostruzione attenta, puntuale e ricca di spunti di riflessione da estendere anche ai tempi successivi a quelli presi in esame. Che potrebbero spingersi fino all’oggi, quando il dibattito appare assai meno vario e profondo e il risalire genealogicamente a questa fase cruciale della nostra storia educativa potrebbe risultare davvero illuminante.
Partendo da un’ampia analisi della fase calante del positivismo, il libro ci accompagna attraverso i vari dibattiti sulle riforme scolastiche, nei quali, dopo l’esaltazione risorgimentale, e la connessa sbornia retorica, si comincia ad intravedere l’astrattezza di un’idea di Patria fine a se stessa e sganciata dalle concretezze della modernità. E si fa strada la coscienza della necessità di una scuola nazionale, e quindi statale, che basasse il contrasto all’ignoranza sulla diffusione di valori “laici”.
Si tratta di un dibattito che tiene insieme il terreno delle risorse, dei mezzi e delle modalità operative con quello della riflessione teorica e del richiamo ai maestri della filosofia, con l'ingresso in campo anche di quelle che vengono delineandosi e definendosi come le “Scienze umane”. Abbiamo, così, la presenza dei pensieri di Kant e di Herbart e, sulla loro scia, il proliferare di idee e visioni propugnate da pedagogisti, da uomini di cultura e di azione contemporanei: Ardigò, Credaro, Salvemini, Gentile, Lombardo Radice, Codignola, altri ancora. La scena è occupata soprattutto dalle figure di Luigi Credaro e Giovanni Gentile, due ministri dell'istruzione che lasceranno il segno nella nostra scuola, con la prevalenza finale del secondo. Cravero era per una scuola "utile", componente fondamentale di un più generale progresso del paese, che attibuisse un ruolo di primo piano alla cultura scientifica e tecnologica (ma senza, per questo poter essere annoverato tra i positivisti) e attuasse una pedagogia lontana dalle "astruserie metafisiche". Gentile, invece, puntava sulla crescita spirituale dei giovani e sulla formazione di una forte coscienza ideale per vivere i cambiamenti della vita moderna senza abbandonarsi a derive materialistiche. Di qui l'individuazione dei capisaldi dell'istruzione nella filosofia, nella storia e nella letteratura. Abbiamo, in questo ambito, il dibattito sulla figura del Maestro necessario alla nuova scuola italiana e sul suo percorso di formazione. Vediamo scorrere le forme di studio e di sperimentazione nelle quali le varie correnti di pensiero si organizzavano. Osserviamo il farsi strada del pensiero laico (propugnato da Credaro senza gli estremismi della polemica anticlericale) e il maturare dell’idea della libertà di insegnamento. Seguiamo la traiettoria del pensiero e dell’azione di Giovanni Gentile sino all'approdo alla sua famosa riforma, sulla quale non si è ancora finito di discutere. Soffriamo, nella parte finale del libro, le difficoltà e le battute d’arresto della pedagogia democratica, che dovrà attendere il secondo dopoguerra per avviare una ripresa “lenta e faticosa”.
Ma, nonostante, lo stato desolante dell’educazione nazionale e della ricerca pedagogica con il quale il libro si chiude, non ci si congeda da esso con un senso di sconforto. Prevale, invece, la rafforzata coscienza di come forse nessun campo come quello dell’educazione esiga un cammino saldamente unitario tra la riflessione teorica e la pratica della democrazia, tra la capacità di pensare e quella di stare al mondo, tra l’attenzione ai valori fondanti di una società civile e le condizioni politiche nelle quali tutto ciò si inserisce e alle quali si salda. E la coscienza di come il cammino percorso possa far luce, senza retorica, sui problemi e sulle prospettive del presente. 

Il risvolto: A distanza di mezzo secolo dall’Unità l’Italia non sembra ancora «una». L’immagine di «due Italie» ricorre frequentemente nel dibattito tra intellettuali, politici, uomini di scuola. Una contrapposizione particolarmente vivace sul terreno scolastico. In questo scenario si stagliano come protagonisti Luigi Credaro e Giovanni Gentile, alfieri di due differenti Italie pedagogiche e scolastiche. Entrambi cultori di interessi educativi e ministri dell’Istruzione, A distanza di mezzo secolo dall’Unità l’Italia non sembra ancora «una». L’immagine di «due Italie» ricorre frequentemente nel dibattito tra intellettuali, politici, uomini di scuola. Una contrapposizione particolarmente vivace sul terreno scolastico. In questo scenario si stagliano come protagonisti Luigi Credaro e Giovanni Gentile, alfieri di due differenti Italie pedagogiche e scolastiche. Entrambi cultori di interessi educativi e ministri dell’Istruzione, animarono, il libro illustra le origini della pedagogia moderna e il ruolo delle istituzioni scolastiche nella formazione dell’identità italiana. 

L’incipit: Nelle analisi sociali e politiche dei primi due decenni del XX secolo ricorre spesso l’immagine delle «due Italie». Questa immagine risale in origine all’aspro dibattito che tra otto e Novecento contrappose quanti spiegavano l’inferiorità morale e sociale del Mezzogiorno rispetto al Settentrione d’Italia con argomenti razziali (sostenuti per lo più da antropologi e criminologi positivisti) e quanti a tale teoria si opposero tenacemente (soprattutto esponenti della cultura meridionalista). 
In seguito all’immagine delle due Italia fu attribuito un senso più generale. A ridosso delle celebrazioni del primo cinquantenario dell’Unità italiana (1911) la rappresentazione delle due Italie oltrepassò i confini geografici alla quale era spesso riferita e in essa si riconobbe, esplicitamente o implicitamente, un variegato fronte di personalità politiche e culturali impegnate, in contrasto con la versione ufficiale, a dimostrare che l’Italia non era «una».
Numerose contrapposizioni si confrontarono sulle pagine di giornali e riviste: c’erano l’Italia legale e il «paese reale» e, all’interno di questa articolazione, l’Italia dai forti sentimenti religiosi dei cattolici e quella laica dei liberali massoni e dei socialisti; c’erano l’Italia dei positivisti e l’Italia degli antipositivisti; c’erano l’Italia già avviata sulla via della modernità e l’Italia atavicamente legata ai ritmi della vita rurale; c’erano l’Italia sana e ben vestita e l’Italia sporca, malarica, che incuteva ribrezzo e sgomento.
[…] L’immagine delle due Italie era calzante anche sul terreno scolastico. C’era un’Italia che andava abbastanza regolarmente a scuola, che poi continuava a leggere libri e giornali e attraverso una maggiore familiarità con l’istruzione rinnovava anche i comportamenti e gli stili di vita. E c’era un’Italia ancora analfabeta, poco scolarizzata, nella quale si perpetuavano l’ignoranza e le abitudini secolari.

L'autore: Giorgio Chiosso, professore emerito di Pedagogia, ha insegnato Pedagogia generale e Storia dell’educazione nella Facoltà di Scienze della formazione dell’Università di Torino. Tra le sue pubblicazioni: La pedagogia contemporanea (La Scuola, 2015) e Studiare pedagogia (Mondadori, 2018).

 

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