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pedagogia era digitalea cura di Donatella Persico e Vittorio Midoro
Edizioni Menabò,
Ortona, pp. 142, s.i.p.              

Ha accompagnato lo sviluppo dell’era digitale dai suoi albori (quando smartphone e tablet non esistevano neanche nella fantasia) fino ai giorni nostri. Lungo uno sviluppo che ha i contenuti, per l’appunto, di un’era, ma ha la durata di appena venti anni. Per sottolineare questa tappa, la rivista TD Tecnologie Didattiche, che fa capo all’Istituto per le Tecnologie Didattiche del CNR ed edita da Menabò, ha approntato un volume, curato da Donatella Persico e Vittorio Midoro, dall’ambizioso titolo Pedagogia nell’era digitale. Ambizioso perché non intende concentrare lo sguardo semplicemente su quelle che vengono comunemente chiamate “nuove tecnologie didattiche”, ma indagare i mutamenti dai quali l’intero campo della pedagogia è investito con il progredire dell’era digitale.
               Il libro è nato dal contributo di 18 studiosi su temi che i curatori hanno riunito in cinque aree. Naturalmente, come avviene di solito nella ricerca, con reciprochi sconfinamenti e intersezioni.
             La prima di esse attiene a Partecipazione e condivisione. Insieme alla collaborazione, secondo i curatori, questi elementi caratterizzano tanto l’operato delle comunità pratiche quanto di quelle che si formano sul web. Non viene, qui, messa in discussione l’importanza dello «studio personale inteso come costruzione della propria identità attraverso l’interazione con se stessi», ma sottolineato come, nel contesto del web, lo studente operi con strumenti diversi e usufruisce di ambienti di apprendimenti arricchiti dalla dimensione sociale della comunità di cui diviene parte. Il tutto porta «all’emergere di una nuova pedagogia», che «mette in discussione gli attuali assetti delle istituzioni educative e mette in evidenza la necessità di modificarli, spesso radicalmente».
               Il leitmotiv dei ripensamenti dei sistemi formativi risuona anche nelle altre sezioni tematiche, iniziando dalla necessità, derivante anche dalla presenza in rete di uno sterminato materiale utilizzabile per l’apprendimento, il cui uso postula la necessità che i contenuti disciplinari abbandonino «la logica sequenziale del manuale» per «adottare altri codici e strutture di comunicazione». Con la conseguenza, date queste premesse, dell’abbandono dei libri cartacei e il passaggio a quelli digitali, che non devono rappresentare la semplice trasposizione dei primi.
               Questa natura “open” della formazione trova il suo terreno migliore nell’utilizzo delle tecnologie mobili per l’apprendimento, la cui introduzione pone non pochi problemi dei quali nel volume si tenta l’analisi, cercando anche di individuare «le possibili risposte del mondo educativo di fronte a questi nuovi scenari».
               Quella che viene definita la “società digitale” non porta con sé solo un mutamento di modalità e di logiche di apprendimento, ma reclama anche nuovi contenuti per «superare i limiti dei curricola tradizionali, per quanto riguarda la frantumazione delle discipline, la loro estraneità rispetto alle nuove esigenze sociali e ai problemi reali della vita, la scarsa considerazione delle nuove abilità richieste dalla società digitale, come creatività, capacità di soluzione dei problemi, capacità di apprendere autonomamente ecc». Va da sé che l’insieme dei mutamenti comporta un forte impatto sulla scuola attuale anche in relazione agli spazi fisici e alla formazione di insegnanti che sappiano agire in una scuola che va modificando le sue strutture e la sua organizzazione.
               Un libro, in sintesi, utile per confrontarsi con un punto di vista che sposa senza molti sussulti critici tutto ciò che il progredire della digitalizzazione comporta nella vita dei singoli e delle collettività. Confronto certamente non eludibile anche da parte di chi riguardo a questo processo –come su tutto ciò che tocca l’esistenza umana- vuole mantenere un approccio critico, basato anche su capacità di analisi che le discipline e i modi di insegnamento fin qui conosciuti hanno contribuito a formare.

Un incipit: La condivisione è quanto consente ad un individuo di usufruire di un oggetto o di un ambiente stando assieme ad altri individui. Se quell’oggetto o quell’ambiente sono “fisici”, la condivisione trova dei limiti, dovuti a fattori come le dimensioni dell’ambiente o l’usura a cui l’oggetto è sottoposto. Se invece l’oggetto e l’ambiente sono di tipo digitale il condividerli non conosce ostacoli, almeno in teoria, e, soprattutto, può spingersi ben al di là del semplice “fruire di”, facendosi anche occasione per “modificare” e per servirsi delle “modifiche” apportate da altri.
               Nei contesti fisici di un’istituzione scolastica, o in situazioni simili, i limiti posti dalla condivisione di un oggetto oppure di uno spazio attrezzati per lo studio, generalmente un libro oppure un’aula o un laboratorio, trovano compensazione nelle procedure standard che regolamentano l’attività stessa dell’insegnare e dell’apprendere: il docente deve far riferimento ad un libro e ogni allievo possiede una copia dello stesso libro; inoltre, mentre il primo esercita in aula una funzione produttiva, al secondo è richiesta soprattutto una funzione ricettiva e, solo in determinate occasioni, solo su richiesta, può esercitare quella produttiva. Non è errato sostenere che buona parte dell’organizzazione del lavoro scolastico si concentra su procedure di questo tipo. Tutto ciò spiega perché l’introduzione del digitale e in particolare delle pratiche della condivisione sia frequentemente intesa in due modi opposti: o come un’insidia o come un’opportunità. Alla base dell’uno come dell’altro modo di pensare c’è infatti la consapevolezza che condividere senza limitazioni oggetti e spazi modificabili cambia il senso dell’apprendere e dell’insegnare.
(capitolo “Condivisione”, di Roberto Maragliano).

I curatori: Donatella Persico e Vittorio Midoro lavorano nell’Istituto per le Tecnologie Didattiche presso il CNR di Genova e dirigono la rivista TD Tecnologie Didattiche.

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