Le origini del bene e del male
di  Paul Bloom
Codice Edizioni,Torino, pp. 240, € 19,90

IL LIBRO: Nasciamo portando con noi una tabula rasa sulla quale l’esperienza imprimerà contenuti e valori? O nel nostro corredo genetico è già inserito il senso del bene e del male. Vissuta per secoli prevalentemente nella sfera gnoseologica, relativa alle conoscenze umane, la disputa tra innatismo ed empirismo viene riproposta oggi da Paul Bloom nell’ambito della morale. O, meglio, vengono riproposte le domande che in tale ambito si pongono relativo al formarsi dei valori in ogni essere umano. Un terreno non vergine, come si sa (basti pensare al monumentale lavoro kantiano, che dalla gnoseologia si inoltrò anche nella sfera morale), ma affrontato, più che sul terreno speculativo, su quello degli esperimenti psicologici.
   L’osservazione porta Boom a ritenere che voi sono aspetti della vita morale che ci accompagnano sin dalla nascita, frutto anche della evoluzione della specie umana. Per esempio la capacità di empatia e di compassione. O, anche, «una comprensione basilare della giustizia e dell’equità». Ma questo corredo, ancora allo stato embrionale, ha bisogno di svilupparsi e di accompagnarsi con altri aspetti della vita morale che richiedono l’intervento dell’immaginazione e della ragione.
   Non nasciamo, dunque, segnati da un peccato d’origine da espiare e riscattare, né caratterizzati da un egoismo e una crudeltà ferini che la cultura e la vita civile ci aiuterebbero a sconfiggere per conquistare un’etica. E neanche veniamo al mondo, secondo il mito del buon selvaggio, come forgiati al bene per poi essere corrotti da una società che non ci lesina i suoi mali.
   Abbiamo un corredo di sentimenti che sbocciano con noi, ad uno stadio ovviamente iniziali, quando veniamo al mondo. Sentimenti anche di segno diverso. Perché, oltre che l’empatia e il senso di giustizia, nei piccoli si può anche osservare, ad esempio, presenze di indifferenza, ostilità, intolleranza. E’ poi l’intervento della ragione, e senza il continuo confronto con ciò che ci circonda, che danno sviluppo e vita a «tutto ciò che ci rende umani». E che ci consentono, potremmo aggiungere, di convivere con i nostri lati oscuri.

L’INCIPIT: Nel 2005 una scrittrice di Dallas vene a sapere che una sua conoscente, Sally Satel, soffriva di una malattia renale. Se non avesse trovato un donatore l’avrebbero sottoposta a dialisi, collegandola per tre giorni a settimana a un dispositivo che ne avrebbe filtrato il sangue. Dopo aver fatto alcune ricerche e parlato con suo marito, Virginia Postrel si recò a Washington per donare a Sally il proprio rene destro. I trapianti di rene di solito avvengono tra consanguinei, mentre Virginia e Sally non erano nemmeno amiche intime. Virginia dichiarò tuttavia che provava empatia per la situazione di sally e le piaceva l’idea di poter aiutare qualcuno in modo diretto. Ci sono casi di persone che si sono spinte anche oltre, connettendosi a siti come www.matchingdonors.
   Qualcuno ritiene che simili forme di altruismo siano la prova di un codcie morale datoci da Dio, e tra questi figurano importanti scienziati come Francis Collins, il Direttore dei National Institutes of Health. Econdo Collins quegli atti di generosità provano che i nostri giudizi e le nostre azioni morali non possono essere completamente spiegati dall’evoluzione biologica, ma richiedono piuttosto una spiegazione di tipo teologico.
   Insieme a questa straordinaria generosità, tuttavia, esistono anche esempi di feroce cattiveria. Stamattina ho letto sul giornale di un uomo che ha perseguitato la fidanzata che lo aveva lasciato, arrivando a gettarle dell’acido in faccia. Ricordo quando, da bambino, ho sentito parlare per la prima volta dell’Olocausto, delle camere a gas, di medici sadici e di bambini trasformati in sapone e olio per lampade. Se la nostra straordinaria gentilezza è una prova dell’esistenza di Dio, il fatto che siamo capaci di incredibili malvagità prova l’esistenza del Diavolo?

L’AUTORE: Paul Bloom è docente di Psicologia a Yale. Ha vinto numerosi premi per il suo lavoro di ricerca e per i suoi libri. Scrive regolarmente per il New York Times, New Yorker, il Guardian, Nature, Science e The Atlantic.