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DECOLONIZZAREIl pensiero creativo contro l’economia dell’assurdo
di Serge Latouche
emi, Bologna, pp. 208, € 13,50

Il libro: L’elevare il mercato a divinità suprema, che regola l’andamento del mondo e alla quale ogni essere umano deve sottostare con devozione non è una necessità della storia. Concepire l’economia come unico terreno praticabile per la ricerca dellafelicità, per ottenere la quale occorre gareggiare con la restante parte degli esseri umani, non è l’espressione di un destino ineludibile. E’ solo uno dei possibili modi di vedere le cose, sostenuto dal discorso pubblico che domina tra i politici e tra le figure mediaticamente più presenti nella nostra quotidianità. E sostenuto da quella che, a buona ragione,  i contestatori della crescita illimitata definiscono come l’aggressione pubblicitaria cui siamo costantemente sottoposti. Un modo che, per questa via, si è impadronito dell’immaginario sociale, nel quale ha disseminato i cardini della sua ideologia, basata sulla crescita indefinita e sui connessi consumi esasperati e vorticosi. Un modo che, così, ha colonizzato il nostro immaginario, convincendoci nell’intimo che in esso sono racchiuse le condizioni e il motore della vita sociale e costituendo una sorta di pensiero unico.
Necessita, per uscire dalla condizione di “istupidimento civico” verso cui un tale pensiero ci sospinge, una “cura disintossicante”, una decolonizzazione dell’immaginario, che ci liberi dall’idea che vi sia un unico modo di vedere le cose, che faccia uscire il “martello economico” dalla nostra testa e ci dia una libertà che ci è stata subdolamente sottratta. Si tratta di «concepire e di volere una società in cui i valori economici cessano di essere centrali (o unici), in cui l’economia viene rimessa al suo posto come semplice mezzo della vita umana e non come fine ultimo».
            Del cammino di questa liberazione parla Serge Latouche, il teorico della decrescita, in un libro-intervista ( a cura di Roberto Bosio), già uscito nel 2002 e ripubblicato ora in una nuova e arricchita edizione da emi. Si tratta di Decolonizzare l’immaginario, il cui tema viene così felicemente riassunto da Francesco Gesualdi nella quarta di copertina :«
Ci hanno detto che per occuparci della nostra società, del nostro futuro, bisogna essere economisti o giù di lì. Ma prendere la nostra vita nelle nostre mani significa semplicemente assolvere alle nostre funzioni di cittadini sovrani come prescrive l’articolo 1 della Costituzione. In realtà non bisogna essere economisti per capire che crescita, produttivismo, mercantilismo, gigantismo, individualismo, conducono a iniquità, guerre, sopraffazione, infelicità, esaurimento delle risorse, degrado ambientale e planetario. Al contrario, più si è impregnati di concetti economici, meno si vede. Perché l’economia mercantilista è il problema. Non si vede con gli occhi, ma col cervello, e per vedere veramente bisogna avere la mente sgombra dai condizionamenti. Decolonizzare il nostro immaginario significa fare pulito nella nostra testa, liberarsi dalle scorie mercantiliste per permettere ai nostri sensi di vedere e sentire ciò che veramente succede, e soprattutto per permettere ai nostri valori di uscire in libertà per costruire un’altra società».


L’incipit
: La prima edizione di questo libro risale al 2002, al periodo, cioè, in cui il movimento degli obiettori alla crescita aveva appena visto la luce. Per ciò che mi riguarda, non ho mai utilizzato il termine decrescita prima che uscisse il numero speciale della rivista Silence dedicato a questo tema, nel febbraio del 2002. In realtà, la teoria eponima trova il suo atto di nascita nel convegno «Disfare lo sviluppo per rifare il mondo», che si tenne presso l’Unesco nel marzo del 2002[1]. D’altra parte è giusto riconoscere che, se l’utilizzo del termine decrescita è molto recente nel dibattito economico, politico e sociale, l’origine delle idee che tale termine veicola ha una storia più lunga, legata da una parte alla critica «culturalista» dell’economia, e dall’altra alla sua critica ecologista. Così, per me, già prima del 2002 c’era «obiezione alla crescita», ma non ancora «decrescita» in quanto tale. La fusione delle due critiche ha fatto emergere il progetto della decrescita. E se il caso ha avuto un grande peso nella successione degli avvenimenti che hanno condotto a un simile risultato, la comparsa di un movimento radicale fautore di un’alternativa alla società dei consumi e della crescita rispondeva a una necessità che, in modo del tutto appropriato, potremmo definire storica. Dinanzi al trionfo dell’ultraliberismo e della proclamazione arrogante del «Tina» (There is no alternative, Non c’è alternativa) di Margaret Thatcher, il piccolo gruppo antisviluppista degli amici e discepoli di Ivan Illich, nato negli anni Settanta –e di cui anch’io facevo parte- , non poteva più accontentarsi di una critica teorica dello sviluppo al Sud dibattuta all’interno della propria cerchia ristretta.
L’altra faccia del trionfo del pensiero unico era lo slogan condiviso dello «sviluppo sostenibile», al quale il movimento no global sembrava aderire perfettamente. Diventava, dunque, urgente opporre a ciò un altro progetto, o più esattamente dare visibilità a un progetto in gestazione da molto tempo, e che tuttavia procedeva in modo sotterraneo. Lo slogan della «decrescita» è apparsa come una «bomba semantica» o un «termine esplosivo» (…) capace di spezzare il debole consenso della sottomissione all’ordine produttivista dominante, o in altre parole di avviare una decolonizzazione dell’immaginario. In seguito, l’espressione ha fatto la sua strada, così come il movimento della decrescita, e, una volta che la crisi annunciata si è infine materializzata, cominciamo ad avvertirne gli effetti. Giunti a questo punto, ci troviamo ormai in una posizione di distanza utile a tracciare un primo bilancio. Probabilmente è interessante, in particolar, tornare sulla formula che costituisce il titolo dell’opera,
Decolonizzare l’immaginario, per comprenderne l’origine e il significato e collocare la portata dell’opera stessa in relazione alla situazione attuale.

L’autore: Serge Latouche, il «padre della decrescita», ha insegnato Scienze economiche all’Università Paris XI. E’ uno degli animatori del Mauss (Movimento anti-utilitarista nelle scienze sociali). E’ autore di numerosi libri tra cui, per Bollati-Boringhieri, L'economia è una menzogna. Come mi sono accorto che il mondo si stava scavando la fossa (2014), Usa e getta. Le follie dell'obsolescenza programmata (2013), Per un'abbondanza frugale. Malintesi e controversie sulla decrescita (2012), Come si esce dalla società dei consumi. Corsi e percorsi della decrescita (2011), Breve trattato sulla decrescita serena (2008). Per Feltrinelli ha pubblicato La scommessa della decrescita (2009 e 2014).



[1] AA.VV., Disfare lo sviluppo per rifare il mondo, Jaca Book, Milano, 2005.

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