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La scuola serve a vivere meglio, non a produrre di più
(Nando Cianci)
Cos'è Scuolaslow
Scuolaslow è una piazza nella quale incontrarsi, discutere, raccontare le riflessioni, le esperienze, le pratiche intrecciate con l'idea di una scuola slow, vale a dire sottratta...
di Lamberto Maffei
il Mulino, pp. 148, € 12,00.
Il libro: Quella che Carlo Cassano chiama la grande religione universale della corsa si va impadronendo del modo di vita di intere società, sottraendo agli uomini la possibilità di riflettere sulle strade che si percorrono e su dove esse conducono. E, nel quotidiano, fa sì che i singoli individui assorbono con ritmo vorticoso quantità inusitate di informazioni senza avere il tempo di ripensarle, di valutare se esse viaggino veicolando fatti reali o incorporando il gene della manipolazione. E’ un modo di procedere che va a cozzare con una parte costitutiva del funzionamento del cervello umano il quale, «possiede sia meccanismi ancestrali rapidi di risposta all’ambiente, automatici o quasi automatici, sia meccanismi più lenti, comparsi successivamente. I primi sono in gran parte inconsci, mentre i secondi sono frutto di ragionamento». Dalla constatazione che le società oggi dominanti sembrano privilegiare decisamente la parte inconscia dell’uomo, a scapito di quella riflessiva, parte Lamberto Maffei in questo libro. Un libro che si inserisce in un vasto panorama di pubblicazioni sul tema della lentezza, ma che affronta il tema da una prospettiva finora forse poco indagata, e comunque originale: quella che guarda la faccenda in relazione al funzionamento del cervello, che è notoriamente complesso perché include la componente genetica e quella determinata dalla evoluzione, anche culturale.
La riflessione di Maffei mette capo ad una posizione chiara e precisa: l’enfatizzazione della velocità e la mortificazione del procedere lento, che egli esprime anche come il prevalere del fare sul pensare, può comportare una serie di conseguenze negative nel vivere civile, a partire dal campo dell’educazione, e –soprattutto- può alimentare una pericolosa megalomania dell’uomo che, nonostante i suoi limiti biologici gli mostrino il contrario, è portato a vedersi come il dominatore onnipotente della natura.
Per giungere all’individuazione di questo e di altri pericoli, come i tratti patologici che può assumere la “frenesia cognitiva”, e per rivalutare gli aspetti positivi della riflessione e del “pensiero lento”, Maffei compie un lungo percorso. Condensato, però, in un saggio snello (ma non frettoloso, ovviamente, in coerenza con il tema) e di piacevole lettura.
Si addentra nel processo di formazione del cervello, visto tanto attraverso l’evoluzione della specie umana, quanto nell’aspetto individuale dello sviluppo nella vita embrionale e in quello legato agli stimoli che vengono dall’ambiente (sia quelli fisici sia quelli legati alle emozioni e ai sentimenti). Nel corso di tale analisi l’autore chiama in causa anche la scuola, che dovrebbe tener conto delle diverse fasi della plasticità del cervello, e l’insieme della società degli adulti, alla quale spetta il compito di «trovare gli stimoli per i nostri giovani, aiutarli a costruirsi il proprio cervello, che poi significa il proprio comportamento». Una responsabilità da « far tremare le vene e i polsi». Con pari intensità la società dovrebbe occuparsi della fase di declino della persona e del suo cervello. Torna, qui, con l’originalità della trattazione che si è detto, uno dei temi classici di quanti si occupano del pensiero lento: l’elevazione della velocità a regolatore dei ritmi dell’umana convivenza mette fuori gioco, prima di tutto, i bambini e gli anziani.
L’analisi si snoda, ancora, attraverso il rapporto del cervello con il tempo, il funzionamento dei due emisferi del cervello, le modalità del linguaggio e del pensiero. La riflessione sulla necessità vitale del “pensiero lento” non fa però dimenticare l’essenzialità, per la stessa sopravvivenza, della rapidità di certe risposte a determinati stimoli, confermando anche qui che, in generale, chi elogia la lentezza non contesta la velocità in quanto tale, ma solo la sua pretesa di ergersi a religione affannata e paonazza alla quale tutti dobbiamo elevare le nostre quotidiane preghiere, per usare ancora parole di Franco Cassano.
Il percorso di Maffei analizza, poi, il rapporto tra le modifiche della percezione del tempo collegate all’avvento del consumismo e l’affermarsi del mercato come divinità atea che, insieme all’altro principio “sacro” del PIL, sembra oggi presiedere ai destini del mondo, tritura i valori e marcia incurante del fatto che «la grandezza dell’uomo sta nella sua modestia e nel riconoscere che tutto è importante, anche il sole, le albe, i tramonti, le discussioni, i giochi, le poesie,il pensare per il pensare, anche se questi godimenti implicano consumare un po’ di meno». Infine, tratta con eleganza di’umanista e attenzione di scienziato il tema della creatività, attività che viene, in parte, dall’inconscio, ma non per questo si può ascrivere al regno della velocità.
Il libro, scritto con garbo e con certosina attenzione ad evitare la saccenteria, tesse una spola continua, tra la arti e le neuroscienze, tra la sociologia e la poesia. Ne risulta una tela solidamente intrecciata che unisce ciò che in natura è già unito e che solo una deformante visione dello “specialismo” separa nel dibattito culturale: la cultura scientifica e quella umanistica.
Il lavoro di Maffei, perciò, oltre che contenere una gran messe di preziose informazioni, rappresenta, come già detto, una lettura piacevole, con riferimenti ai prodotti dell’arte e della ricerca scientifica numerosi e continui, ma non ingombranti. Che, anzi, contribuiscono a dare spessore ad una narrazione già di per sé accattivante. (n.c.)
L’incipit: Chiamatemi come volete, non è importante, ma anch’io come Ismael, alcuni anni fa, non importa quanti, avendo pochi soldi in tasca e nulla da fare e trovandomi a Firenze per ragioni di lavoro, decisi di visitare il salone dei Cinquecento; avrei forse preso il mare come Ismael, ma era troppo lontano e per andare a Viareggio mi sarebbero occorse delle ore. Anch’io, quando mi prende la malinconia e pensieri tristi mi inseguono senza una ragione, mi rifugio nel bello e non c’è Prozac che tenga, un museo d’arte produce più serotonina di qualsiasi farmaco.
Io quando vado in un museo vado come semplice spettatore, senza guide, né umane, né elettroniche, né cartacee, che mi consiglierebbero ciò che piace a loro piuttosto che a me. Non ho il problema di pagare il biglietto perché uno dei pochi vantaggi dell’età è che nei musei il biglietto è ridotto o non si paga affatto. L’occasione di non pagare è un meschino invito al piacere che ha una sua attrattiva non trascurabile. A me piace vagabondare nei musei e lasciare lo sguardo libero di vagare e di fermarsi dove forme e colori lo attraggono.
Nel salone dei Cinquecento –lungo 54 metri, largo 23 e alto 18- si può vagare lentamente, ad libitum.
Uno cerca prima nella sua mente pitture della memoria come La battaglia di Cascina o La battaglia di Anghiari, le rivede non nella parete del salone dove dovrebbero essere ma nella sua mente e gli piacciono ugualmente.
Non è vero che servano sempre gli occhi per vedere. E’ noto che la memoria scarica le sue immagini nelle stesse aree della corteccia visiva in cui le scarica il messaggio retinico.
L’autore: Lamberto Maffei, già direttore dell’Istituto di Neuroscienze del CNR e del Laboratorio di Neurobiologia della Scuola Normale Superiore di Pisa, è presidente dell’Accademia nazionale dei Lincei e professore emerito di Neurobiologia alla Scuola Normale. Ha pubblicato, fra gli altri, La libertà di essere diversi. Natura e cultura alla prova delle neuroscienze (2011, il Mulino) e Arte e cervello (con Adriana Fiorentini, 2008, Zanichelli).