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VAL PIU LA PRATICAPiccola grammatica immorale della lingua italiana
di Andrea De Benedetti
Laterza, Roma-Bari, pp. 189, € 8,50

Il libro Nei suoi tanti secoli di vita, la grammatica ha avuto una vita travagliata.  Nata come sostegno all’analisi e alla critica dei testi, si è andata poi trasformando nell’insieme di regole e forme del parlare e dello scrivere, con intento prevalentemente pratico. Fu comunque a lungo una delle materie regine nell’insegnamento. Ha poi vissuto alterne vicende fino ad apparire, in tempi più vicini a noi, ancora più legata alla politica e alla società.  Con Don Milani e i suoi ragazzi di Barbiana, ad esempio, che pur criticando una scuola che aveva «più in onore la grammatica che la Costituzione», non si facevano sfuggire la necessità di esprimersi correttamente: «Perché è solo la lingua che fa eguali. Eguale è chi sa esprimersi e intende l’espressione altrui»[1]. O con la contestazione sessantottina, che era incline a vederla come uno degli aspetti formalistici più detestabili della scuola.  Anche se poi quella stessa contestazione degenerò in modalità espressive gergali e paludose, linguisticamente più infelici di quelle che criticavano. E in questo moderno percorso la grammatica ha trovato  sostenitori inaspettati, come Daniel Pennac: «scoprivamo (…) che la grammatica è il primo strumento del pensiero organizzato e che la famosa analisi logica (di cui beninteso serbavamo un ricordo abominevole) regola gli snodi della nostra riflessione, la quale viene affinata dal buon uso delle famose proposizioni subordinate»[2].
Insomma, il dibattito è aperto da sempre e non trova mai conclusione, come è naturale che sia dal momento che la lingua è strettamente legata alla cultura e alla società e con esse muta e si evolve.
Il libro di de Benedetti si inserisce nel dibattito in modo inizialmente colorito, partendo lancia in resta contro i fondamentalisti della grammatica, coloro che si estasiano in una «fede cieca e assoluta nelle virtù salvifiche della Grammatica, entità quasi metafisica che tutto spiega, tutto classifica e tutto dispone».  Che è poi un modo di uccidere la lingua. Ma poi, per quanto ogni tanto riaffiori in modo brillante,  la lancia bellicosa cede il passo a ragionamenti più pacati, anche in omaggio all’ «indole relativamente mite» della grammatica. Ragionamenti condotti con dovizia di argomenti, con esempi tratti dalla quotidianità giornalistica e con riferimenti che spaziano dal Manzoni fino a Trapattoni, al cui esilarante linguaggio sono dedicate pagine misuratamente ironiche e davvero istruttive. E il complesso dell’argomentazione (a proposito: da godere le pagine che sdoganano l’inizio di un periodo con la “e”) mira a ridare alla grammatica quel che è della grammatica. Vale a dire a non chiederle quel che essa non può dare, come ad esempio il preservare una purezza della lingua che è un controsenso rispetto alla sua natura, che la porta a mutare nel tempo, essendo una cosa viva. Ne consegue che «la grammatica scientifica non si preoccupa tanto di prescrivere quanto di descrivere, analizza cioè come i parlanti si comportano nei fatti, non come dovrebbero comportarsi». E’ in questo senso, dunque, che conta la  pratica: come terreno nel quale la lingua vive, cambia, procede con la cultura e la società. E la polemica nei confronti dei neocruscanti,  sacerdoti della “purezza”, ha lo scopo di non far confinare la lingua in un mondo separato. E’ mossa, dunque, non da avversione per la grammatica ma, al contrario, da amore per essa. Perché la vuole viva (e in questo vivere viene opportunamente inserita anche la “vocazione al dubbio”  che le è connaturata).
E’ anche questo amore per la grammatica che porta De Benedetti a criticare il fondamentalismo ma a non incoraggiare derive, diciamo così, anarchiche.  Perché parlare e scrivere bene è comunque un piacere per chi parla o scrive e per chi ascolta o legge. Come De Benedetti mostra con lo stile insieme colto e divertente di questo libro.

L’incipit: Sarà anche vero, come si sente dire in giro, che l’italiano si sta imbarbarendo, che gli incolti lo inquinano, che l’inglese lo corrompe, che i giornali lo mortificano e che la televisione lo umilia, ma non c’è al mondo esercito più agguerrito di quello che ogni giorno presidia la frontiera che separa la lingua ‘buona’  da quella ‘cattiva’. Una legione di insegnanti, vetero-puristi e neo-cruscanti impegnati a vario titolo in battaglie quotidiane contro i tanti subdoli nemici che metterebbero a repentaglio l’integrità della lingua di Dante: il «che» polivalente, «lui»e «lei» usati come soggetti, le «dislocazioni», gli anacoluti, la scomparsa del congiuntivo, la punteggiatura approssimativa, l’eccesso di anglicismi, le ripetizioni, e molto altro ancora. A ispirare e a sorreggere queste devote sentinelle di una lingua ‘buona’, la fede cieca ed assoluta nelle virtù salvifiche della Grammatica, entità quasi metafisica che tutto spiega, tutto classifica e tutto dispone. 
In realtà la grammatica – con la minuscola – spiega molto ma non tutto, classifica in maniera non sempre soddisfacente, e quanto al disporre, non è che la gente le dia sempre così retta. I linguisti in qualche modo se ne sono fatti una ragione e lavorano con impegno per rendere meno imperfette le loro teorie e le loro descrizioni; sono le persone comuni a non rassegnarsi e a invocare l’intervento di qualcuno o qualcosa che metta le ganasce a chi si ostina a oltraggiare la lingua. Questo libro, in cui si cerca di ridefinire il concetto di errore,di aggiornare la nomenclatura e la dottrina grammaticale più obsolete, e soprattutto di riabilitare, attraverso gli esempi, Alcune presunte devianze dalla norma, è diretto soprattutto a loro. Nella speranza che imparino a prendere meno sul serio la grammatica, e soprattutto se stessi. 
E tuttavia, chi pensasse di trovarvi provocazioni gratuite, idee eversive o pericolose forme di relativismo linguistico, sarebbe fuori strada.

L’autore: Andrea De Benedetti è stato docente di linguistica italiana all’Università di Granada, poi docente a contratto in diverse università e scuole di specializzazione. Editorialista sportivo de il manifesto, collabora con le riviste GQ e Guerin Sportivo. Tra le sue pubblicazioni, L’informazione liofilizzata (2004, Cesati), sul linguaggio dei titoli di giornale eOgni bel gioco 2006, (Nerosubianco), raccolta di articoli sugli sport minori.



[1] Scuola di Barbiana, Lettera a una professoressa, Libreria Editrice Fiorentina, Firenze, 1976, pp. 19 e 96.

[2] Daniel Pennac, Diario di scuola, Feltrinelli, Milano, p. 120. 

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