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Scuolaslow è una piazza nella quale incontrarsi, discutere, raccontare le riflessioni, le esperienze, le pratiche intrecciate con l'idea di una scuola slow, vale a dire sottratta...

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ARMINIOdi Franco Arminio, Chiarelettere, Milano, pp. 154, € 13,00

Il libro: Autore di una «sterminata produzione in versi» Franco Arminio ne raccoglie una parte in questo bel libro, che non rappresenta un’antologia, ma «un’opera antica e nuova, raffinata e popolare, un calibrato intreccio di passioni intime e passioni civili».
Il volume si articola in quattro sezioni, la prima delle quali reca L’entroterra egli occhi  ed è forse la più intimamente legata alla paesologia, l’attività alla quale Arminio è da sempre dedito e che ha così definito nel suo libro del 2011 Terracarne: «La paesologia non è altro che il passare del mio corpo nel paesaggio e il passare del paesaggio nel mio corpo. È una disciplina fondata sulla terra e sulla carne. Una forma di attenzione fluttuante, in cui l’osservatore e l’oggetto dell’osservazione arrivano spesso a cambiare ruolo». Da questa osmosi scaturisce la modalità attraverso la quale Arminio si esprime: «La paesologia è semplicemente la scrittura che viene dopo aver bagnato il corpo nella luce di un luogo». Da dove può sgorgare anche la poesia. Quando, per esempio, «Il paesologo va nei paesi a pescare lo sconforto e si ritrova tra le mani un poco di beatitudine», anche nei luoghi più sperduti, dove anzi ci si riempie, «perché il mondo ha più senso dov’è più vuoto, il mondo è sopportabile solo nelle sue fessure, negli spazi trascurati, nei luoghi dove il rullo del consumare e del produrre ha trovato qualche sasso che non si lascia sbriciolare». È a questo mondo che ci fa accedere l’entroterra degli occhi, un mondo che quel rullo e la fretta del vivere quotidiano ci nascondono alla  vista. Una condizione alla quale si può, dunque, sfuggire:
Concedetevi una vacanza
intorno a un filo d’erba,
concedetevi al silenzi e alla luce,
alla muta lussuria di una rosa.

Il paesaggio è presente, in un certo senso, anche in Brevità dell’amore, la seconda sezione del libro. Non solo e non tanto per il continuo ricorrere ad immagini tratti dalla vita della natura, quando perché l’amore a sua volta crea dimensioni interiori che rimandano a luoghi fisici di convivenza, di protezione:
La prima volta non fu quando ci spogliammo
ma qualche giorno prima,
mentre parlavi sotto un albero.
Sentivo zone lontane dal mio corpo
che tornavano a casa.

Nella terza sezione, Poeta con famiglia, l’infanzia, le fragilità dell’adolescenza (Sono un ragazzo di montagna, / so di terra di vento e d amarezza), gli  affetti familiari “senza reticenza”,  la presenza viva delle generazioni di cui siamo “orfani”, si intrecciano in un quadro di famiglia passata e presente, in continuo chiaroscuro di luci e di ombre, ma capace di sciogliersi nella consolazione che si sostanzia, ancora una volta, con le immagini di un paesaggio vivo e intenso:
Il cuore di mia moglie
è una luminosa chiesa di campagna,
un arcobaleno posato
sui campi
.

Nell’ultima sezione del libro, La poesia al tempo della Rete, si torna alla prosa. Irrompe la “realtà” dei social a complicare l’esilio del poeta: «Il mondo simbolico è diventato reale e il mondo reale è diventato simbolico. In questa condizione il poeta trova un ulteriore motivo di disagio perché ogni volta che c’è un mondo per il poeta c’è un esilio. E se i mondi sono due, l’esilio è doppio».
Quello dei social è, in fondo, un mondo di solitudine, che tutto dissacra e riduce le speranze: «Chi scrive, chi commenta, deve ogni volta decidere da che parte stare, sapendo che da quando abbiamo spesso di credere all’invisibile e al sacro tutto il visibile e il profano non ci basta più, e ci basterà sempre meno». È anche per questo che «Abbiamo bisogno di compassione. Abbiamo bisogno di consolazione e di amore. Dare amore per me significa dare nuove visoni di noi stessi e degli altri. Darle non per cantarcela tra noi, ma per puntare a uno sfondamento, per sfondare la creazione e vedere cosa c’è dietro questa parata che chiamiamo vita».

 

L’incipit: La prima volta che ho provato a scrivere una poesia era un pomeriggio di gennaio del 1976. Mi ricordo di aver usato la penna rossa su una di quelle agende in finta pelle che regalavano i commessi che venivano all’osteria di mio padre.
   Un altro luogo di fitta scrittura fu la Centoventisette verde di Antonietta. In quegli anni in cui l’inquietudine era la mia fosforescenza scrivevo a oltranza, non avevo pavimenti, non dormivo. Il frutto furono alcuni libri con piccoli editori, ma soprattutto una marea di fogli con cui ho riempito diciotto buste nere dell’immondizia e due casse che aveva portato mio nonno dall’America.
   Poi cominciai a scrivere con computer e fu ancora più facile fare e disfare: una stessa poesia compariva in centinaia di versioni, e alcuni versi migravano per anni da una poesia all’altra in attesa di una soluzione definitiva che non arrivava mai.
   Alla fine è stato molto faticoso decidere cosa tenere e cosa togliere in questa cosa che considero la mia prima vera raccolta in versi. Eccola, è come
un’anguilla sull’autostrada. / È il lampo della luce / che la distingue dal catrame.

 

L’autore: Franco Arminio è nato e vive a Bisaccia, in Irpinia d’Oriente. Ha pubblicato una ventina di libri. Ricordiamo, tra gli altri, Vento forte tra Lacedonia e Candela (Laterza), Terracarne (Mondadori), Cartoline dai morti (Nottetempo) e Geografia commossa dell’Italia interna (Bruno Mondadori). Si occupa anche di documentari e fotografia. Come paesologo scrive da anni sui giornali e in Rete a difesa dei piccoli paesi. Attualmente è il referente tecnico del Progetto pilota della montagna materana nell’ambito della Strategia nazionale delle aree interne. Ha ideato e porta avanti La casa della paesologia a Trevico e il festival “La luna e i calanchi” ad Aliano.

                                                                                                                                          

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