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Parole per timidi e disobbedienti, di Andrea Schiavon, add editore, Torino, pp. 192, € 13,00
Il libro: Nel panorama dei libri che si vanno pubblicando in occasione del cinquantenario della morte di Don Lorenzo Milani, si distingue per originalità quello di Andrea Schiavon, pubblicato da add con il titolo Don Milani. Parole pe timidi e disobbedienti.
Il sottotitolo, come si vede, è già un programma, perché rimanda a due componenti fondamentali dell’insegnamento e della vita stessa di Don Milani. I timidi sono coloro che non hanno la parola, perché non ne sono attrezzati o perché viene loro negata. La disobbedienza è l’uscire dal solco di una strada già segnata verso il conformismo e la perpetuazione delle classi sociali cristallizzate.
Come Don Milani agì e scrisse su questi versanti è a tutti noto, per quanto ancora oggetto, fortunatamente, di dibattito. In questo dibattito Schiavon si inserisce in modo, abbiamo detto, del tutto originale, seguendo forse anche la sua impostazione di giornalista (del che risente, positivamente, la chiarezza della scrittura e la gradevolezza della lettura). In questo lavoro, infatti, egli, oltre a darci conto della sua passione per il personaggio, e del suo rapporto con esso, conduce l’esperimento di mettere a contatto l’insegnamento di Don Milani con i ragazzi di oggi.
“Esperimenti” di questo tipo sono, di per sé, sempre un po’ rischiosi, perché i caratteri portanti della scuola di cinquant’anni fa (autoritarismo, nozionismo e via discorrendo) sono andati trasformandosi spesso nel oro contrario (ma non per questo si può dire che i risultati siano diversi). Così come l’imputazione di essere staccata dal mondo reale, che Don Milani faceva alla scuola, va oggi riletta alla luce di un contesto profondamente mutato, nel quale c’è persino chi, in nome della adesione della scuola alla realtà, aspira a trasformare gli studenti in clienti e la scuola in un posto nel quale il mondo diventa più ”liquido” che mai, scolorendo le fondamenta della cultura millenaria che l’umanità ha elaborato con tecnicismi vari e con verniciate di modernità acritica, del tipo “alternanza scuola-lavoro. Un cammino che non va certo nella direzione auspicata da Don Milani
Ma in questo caso l’esperimento è ben condotto ed ha, fra gli altri, il merito di farci vedere come i giovani percepiscano ancora la scuola come un luogo dove è difficile cercare il senso di quello che vi si fa. E dove, per quanto l’autoritarismo e il nozionismo siano stati formalmente abbandonati, permane un’impostazione di vuoto formalismo e continua a tenere banco è ancora il rituale che conduce al voto. Con il connesso ricomparire, sotto forme diverse, del nozionismo staccato dall’acquisizione critica del sapere elaborato dalle varie civiltà. E così Schiavon si sente dire, da un ragazzo di Torre del Greco, che «lo studio per noi è una continua ricerca di stare nei vostri standard». O, da alcuni ragazzi di Padova, che a loro viene ancora e sempre chiesto di immagazzinare continuamente nozioni, «nomi, date, teoremi che fuggono dalla nostra memoria non appena abbiamo svuotato tutto nell’interrogazione o nei compiti in classe».
Un lavoro prezioso, dunque, quello di Schiavon, perché dall’intreccio continuo del racconto di Don Milani e della scoperta che i ragazzi di oggi fanno di Lettere a una professoressa fa emergere l’attualità di un pensiero pedagogico che, pur nelle mutate condizioni dei tempi, è ancora capace di indicare la strada per consentire ai timidi e ai disobbedienti di trovare la forza e la realizzazione, anche attraverso la forza affettiva, didattica e relazionale della parola. E alla scuola italiana di liberarsi da mode e lustrini, per cercare una strada che ci liberi dalle persistenze di ingiustizie culturali e sociali e la ponga all’altezza dei grandi mutamenti della nostra epoca.
L’incipit: Chi scrive ancora lettere? Cerco la risposta guardandomi intorno sul tram, in mezzo a facce illuminate dal bagliore dei telefoni.
In equilibrio tra una frenata e l’altra, per anni ho riempito i miei ritorni da scuola scrivendo su pezzi di carta che poi imbustavo e spedivo agli amici di penna, con cui cercavo di esercitare il mio sgrammaticato francese, e alle ragazze conosciute in estate, lontane centinaia di chilometri. Tutte frasi che adesso inviamo con un clic. Una lettera però è qualcosa di diverso. Non ha la fretta di un messaggio o di una mail, ha un’urgenza interiore.
Sarebbe divertente fare un gioco; provare a distinguere a prima vista chi scrive lettere, chi non ci pensa neppure e chi infine si ripromette di farlo e non trova mai il tempo.
Cosa si dovrebbe cercare? Una callosità sulle dita, lì dove poggia la penna? O bisogna intercettare una particolare luccicanza nello sguardo? Non so tracciare l’identikit, so però che esiste e che, in momenti diversi della nostra vita, corrisponde a ognuno di noi.
Quante cose possono stare in una lettera a me l’ha insegnato Don Lorenzo Milani, un prete vissuto appena 44 anni, morto negli anni Sessanta, che ha iniziato e concluso la propria esperienza sacerdotale relegato dentro i confini della provincia di Firenze, esiliato nei monti del Mugello. Un orizzonte apparentemente ristretto, sia nel tempo che nello spazio, che però non ne ha limitato lo sguardo, sempre rivolto al mondo e al futuro.
L’autore: Andrea Schiavon è nato a Padova nel 1974 ed è un giornalista di Tuttosport. Con il libro Cinque cerchi e una stella (add editore) ha vinto il Premio Bancarella Sport 2013. Ha scritto per Mondadori Quando sarai grande con Valentina Diouf e La fatica non esiste con Nico Valsesia. Con quest’ultimo libro si è aggiudicato il Premio Geremia (premio speciale Coni).Per Add ha, inoltre, pubblicato Il buon ladro.