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Zita Dazzi, La valigia di Adou, il Castoro, Milano, pp. 140, € 12,00
Il libro: Un libro ispirato alla storia vera di un bambino che giunge in Italia chiuso dentro una valigia. Da noi trova un altro bambino con cui stringerà un’amicizia speciale.
Il racconto procede alternando, in prima persona, le voci di Adou e del suo amico Oreste. Il primo, iniziando dallo stupore con cose ed ambienti sconosciuti nel suo villaggio di provenienza; il secondo stupendo per l’assurdità del fatto che un essere umano debba viaggiare dentro una valigia. Con una chiosa finale di Luigina, la sorellina di Oreste.
Un libro che tratta temi profondi, come quello di guardare le migrazioni con l’occhio dei bambini, ma che procede con lo stile leggero della fiaba. Che viene, per i suoi contenuti e per come sono resi, sostenuto anche da Amnesty International Italia.
Adou e Oreste hanno molte cose in comune: hanno tutti e due dieci anni, amano il calcio, non capiscono il mondo dei grandi. E poi, tutti e due aspettano qualcosa: Adou non vede l’ora di arrivare in Italia, Oreste aspetta la nascita della sorellina. Ma il sogno dell’Italia per Adou comincia nel modo più drammatico: da solo, dentro una valigia. La stessa valigia che riserverà a Oreste la più grande sorpresa della sua vita. Adou e Oreste ci raccontano la storia che li ha portati a conoscersi e a diventare amici, in barba a qualunque ostacolo. I legami più forti, a volte, nascono nei modi più inaspettati.
L’incipit: È TUTTO NERO QUI DENTRO, ma ormai sono abituato…
Quando mi hanno messo nella valigia, mi hanno detto di dormire e di non pensare-
Mi hanno detto di non piangere, che finirà presto.
Io mi fido.
Sono piccolo e magro, mi piego come una camicia, io.
Sono piccolo e magro r obbedisco a quello che mi dicono i grandi.
È tutto nero qui dentro. Ma io non ho paura.
La tela che mi avvolge è leggera e passa l’aria. La cerniera è un po’ scucita da un lato e riesco a respirare. Mi sollevano, mi trasportano, in fondo è quasi divertente. Sembra un gioco, sembra di stare su una carriola come quella che usava mio pare al villaggio per trasportare le cose.
Lui portava casse piene di pesce: Anch’io sto dentro a questa valigia, fermo, immobile, come un grosso pesce incartocciato. Cerco di non pensare a niente. Non penso al mare, non penso al villaggio, non penso a mio padre.
Penso solo a dormire, come mi ha detto mamma. Presto tutto questo finirà e per noi comincerà una nuova vita. Lontano dal mare, lontano dal villaggio, in un nuovo mondo. Dove ci sarà futuro anche per noi, gli ultimi della terra.
L’autrice: Zita Dazzi è giornalista de «La Repubblica». Segue principalmente la cronaca e i temi sociali. Vive e lavora a Milano. Nel ’93 ha vinto il premio giornalistico dell’Associazione Interessi Metropolitani e nel 2002 il premio Cronista dell’anno dell’Associazione lombarda giornalisti. Con Il Castoro ha pubblicato anche La banda dei Gelsomini, Bella e Gustavo (Premio Leggimi Forte 2015), Il mondo di Teo e un racconto della raccolta La prima volta che.