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VIVERE CON I ROBOTSaggio sull'empatia umana, di Paul Dumouchel e Luisa Damiano, Raffello Cortina, Milano, pp. 224, € 19,00.

Il libro: Usciti dai confini della fabbrica, dove da tempo integrano o sostituiscono il lavoro umano, i robot stanno sempre più entrando nelle nostre case e nella nostra vita quotidiana, con applicazioni che investono nuovi campi e segnano l’avvento della robotica sociale: la sfera terapeutica, quella dell’assistenza agli anziani e ai bambini con bisogni speciali, persino quella sessuale, solo per dirne alcuni. Una avanzata che non pone solo problemi tecnici, organizzativi, di ricerca tecnologica, ma ci interroga anche sui modi della convivenza tra l’umano e l’artificiale e chiama in causa, in definitiva, l’etica. Questo insieme complesso di problemi, che presenta aspetti inediti nel cammino dell’uomo, viene affrontato da Paul Dumouchel e Luisa Damiano (docenti di filosofia alle università, rispettivamente di Kyoto e di Messina) in questo attento e rigoroso lavoro pubblicato da Raffaello Cortina.

«Più che di “robot” -è stato notato-, gli autori preferiscono parlare di “sostituti”. Non più la mera sostituzione del lavoro meccanico, ma anche di altre componenti dell’attività umana, a partire dal soccorso a persone in difficoltà fino alla possibilità, attraverso i famigerati “robot-killer”, di uccidere target umani in teatri di guerra.
In entrambi i casi, il problema diventa quello di dotare i sostituti di un’etica, perché nel momento in cui l’interazione tra il robot e l’umano diventa appena più complessa del Roomba aspirapolvere e penetra nella sfera dell’emotività, nascono i problemi.
Se vogliano un autentico sostituto artificiale, dobbiamo renderlo il più possibile autonomo: un robot teleguidato da un operatore umano, per esempio, non è un sostituto, non possiede alcuna capacità di scelta autonoma. Un automa che compie una serie di azioni esclusivamente sulla base della sua programmazione è già un robot autonomo. Un vero sostituto dovrebbe però essere in grado, e qui risiede la difficoltà, di fare anche cose non previste dalla programmazione originaria, per evitare che il mero rispetto degli algoritmi provochi disastri»[1].
Come spiegano i due autori in un intervento sulla stampa, la frontiera della robotica si è andata spostando fino ad una linea di indagine che mira «a consegnare ai robot la possibilità di interagire mediante processi emozionali» ed «inaugurare una nuova fase dell’evoluzione umana»[2]. Insomma non solo strumenti al servizio degli umani, ma anche nostri “partner sociali”. Tanto che si comincia a parlare di antropologia sintetica.
Si tratta di una dimensione che, d’acchito, può spaventare. Sono noti i timori suscitati, anche fra gli scienziati, dall'ipotesi che l’intelligenza artificiale possa a sfuggire al controllo umano e addirittura soggiogare la nostra specie. Ed è comprensibile che il timore aumenti quando vediamo tirata in ballo la sfera che sentiamo come maggiormente caratterizzante la nostra unicità: quella delle emozioni. Che esse debbano diventare appannaggio anche di essere inanimati da noi stessi costruiti può suscitare angoscia e smarrimento. Così come può causare ulteriore insicurezza la sensazione che il nostro destino, già condizionato dalla natura, possa sfuggirci ancor più di mano ad opera del mondo artificiale. Il libro di Dumouschel e Damiano si colloca al di là di questi timori, accettando le sfide che la ricerca ci pone e inserendosi nel dibattito in corso con il rigore dell’analisi documentata. Aiutandoci, così, anche a guardare ai problemi aperti senza pregiudizi. E spingendoci, in fondo, anche a guardare meglio in noi stessi: nella progettazione del robot empatico «dobbiamo compiere un percorso di apprendimento prima di tutto “umano”. Nella profondità della nostra natura e nella scoperta delle emozioni»[3].


Il risvoltoPuò un robot interagire con noi alla pari? Può riuscire a leggere i segnali sociali umani e rispondere in modo convincente? Può comunicare attraverso le emozioni? Uno dei settori emergenti dell’intelligenza artificiale, la robotica sociale, sta trasferendo queste domande dalla fantascienza alla ricerca teorica e applicativa. I robot prodotti da questa disciplina sono macchine ideate per interagire con gli umani in modi socialmente significativi, ricoprendo ruoli quali il media-tore nell’educazione, l’assistente ad personam o l’aiuto-infermiere.Paul Dumouchel e Luisa Damiano propongono un’esplorazione filosofica delle frontiere odierne della robotica sociale, mettendone in luce i presupposti teorici e gli sviluppi sperimentali che aprono nuove strade per pensare la mente, la socialità e l’emozionalità umane. Percorrendo queste direttrici, gli autori entrano nel dibattito delle scienze della mente e dell’intelligenza artificiale, sviluppando un approccio innovativo alle sfide etiche imposte dal progetto di farci affiancare da partner sociali artificiali.

L’incipitChe cos’è un robot? La risposta a questa domanda è lontana dall’essere chiara. In italiano il robot da cucina è un apparecchio elettrico a lame interscambiabili usato per tagliare e mescolare gli alimenti. A prima vista l’appellativo appare poco appropriato: un apparecchio ordinario come questo non corrisponde a quanto tendiamo a immaginare pensando a un robot. Certamente Asimo, l’umanoide costruito da Honda, e Aibo, il cane robotico sviluppato da Sony, esprimono meglio di un mixer la nostra idea comune di agente robotico. Eppure un robot da cucina soddisfa la definizione originaria del termine “robot”. L’idea è quella di un “lavoratore artificiale”: un congegno che ha una propria fonte di energia, lavora per noi ed è almeno parzialmente autonomo. Un robot da cucina ha queste caratteristiche. Una volta attivato, trita le verdure, le riduce in purè o mescola gli alimenti. Benché abbia un margine di autonomia estremamente ridotto, può svolgere senza supervisione la triplice funzione di mezzaluna, mortaio e frullino.
I robot sono oggetti tecnici molto diversi tra loro. I droni e i veicoli aerei senza pilota sono sistemi robotici. È un robot anche Reysone, il letto di Panasonic che si trasforma in poltrona e può fungere da sedia a rotelle. Esistono piattaforme robotiche industriali o per uso medico di ogni taglia e forma. Nella maggior parte dei casi nulla nell’aspetto di una di queste macchine indica che si tratti di un sistema robotico. Come distinguere allora i robot nell’insieme variegato degli oggetti automatizzati su cui si appoggia la nostra vita quotidiana? La porta che si apre automaticamente quando ci avviciniamo è un sistema robotico? Il pilota automatico che permette a un aereo di linea di volare per ore, con un minimo di intervento umano, è un agente robotico? Una scala mobile è un robot? Che cosa sono i bancomat o i distributori automatici di bevande? Fa parte di un sistema robotico il sensore che di notte, quando passa qualcuno, accende la luce esterna della nostra casa? E lo sportello automatico che, leggendo il nostro badge, si apre per lasciarci passare? La metropolitana senza conduttore? Che cosa sono la lavastoviglie e la stampante collegata al computer’

Gli autori:
Paul Dumouchel insegna Filosofia presso la Ritsumeikan University di Kyoto (Giappone). Le sue ricerche si rivolgono primariamente alla filosofia delle relazioni sociali, alla teoria delle emozioni e alla filosofia della scienza e della tecnologia.

Luisa Damiano insegna Filosofia della scienza presso l’Università degli Studi di Messina. Si occupa principalmente di filosofia della mente e delle scienze cognitive, filosofia delle scienze e delle tecnologie emergenti ed epistemologia delle scienze dell’artificiale



[1] Roberto Paura L’ambiguo confine tra uomo e artificio, (www.quadernidaltritempi.eu), 7 giugno 2019.

[2] Se il badante è una macchina, in la Repubblica, 24 aprile 209, p. 38.

[3] Federico Colonna, Né nemico né schiavo: il robot è empatico. La Lettura del Corriere della Sera, 19 maggio 2019.

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