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Onorare le storie dei pazienti, di Rita Charon, Raffaello Cortina, Milano, 2019, pp. 300, € 25,00.

MEDICINA NARRATIVA

Il libro: A più di un paziente sarà capitato di avere a che fare con un medico ingrugnito, che lo tratta come uno scocciatore e, per spiegare quel che sta facendo, borbotta quattro parole tecniche incomprensibili ai più. Medici che ignorano come la loro scienza, se spogliata del senso umano del loro operare, può far funzionare, forse, l’organismo, ma gela il cuore. Medici che ignorano come il paziente non sia un mosaico di organi, ma un essere composto di fisico, pensieri e sentimenti. Si tratta, naturalmente, di casi limite. Ma non è neanche raro di incontrare medici che, per quanto rispettosi del paziente, non riescano a inserire il rapporto con il paziente e le informazioni sullo stato di salute all’interno di una relazione umana che tenga conto di ansie, sentimenti, solitudini. E che, formalmente corretti, affidano all’asetticità del linguaggio il mantenimento di una distanza che non considera la sfera emotiva del paziente. Che non considera l’unicità del paziente, giacché ogni persona può vivere la stessa malattia in modo molto diverso.
Per superare la barriera linguistica, con i suoi risvolti negativi nella relazione medico-paziente, Rita Charon ha inaugurato e percorso un sentiero nuovo, che ci racconta in questo libro, Medicina narrativa, nel quale anche il sottotitolo ha una valenza di immediata evidenza: Onorare le storie dei pazienti. Un percorso che mette insieme ricerca teorica e illustrazioni di esperienze cliniche, scoprendo analogie tra la medicina e le strutture della narrazione, del romanzo, del racconto.

Un percorso che assume e riconosce l’unicità del paziente: «la competenza narrativa si distingue dalla conoscenza scientifica per la capacitò di cogliere ciò che è unico». Differenza che non rende incompatibili le due sfere, ma le invita a procedere insieme.
La narrazione ha, naturalmente, le sue tecniche e i suoi principi fondanti, ma non può esistere se non come relazione (il narratore non esiste senza qualcuno a cui narrare). E, d’altronde, ogni relazione non arricchisce mai uno solo dei suoi protagonisti. Sicché anche la medicina narrativa rivela la sua utilità tanto per il paziente che per chi cura: «Senza narrazione, il paziente non è in grado di trasmettere quello che sta attraversando, né -in maniera più radicale ma forse ugualmente vera- di dargli un senso. Allo stesso modo, un professionista della salute non vede la malattia in una forma piena, coerente, strutturata, emotivamente potente, se non ha modo di raccontare o scrivere». Nel che si vede che il ruolo del medico non è solo di ascoltatore delle storie dal paziente per capire meglio (il che è pur importante), ma è egli stesso narratore. Racconta e scrive. Sono in campo, dunque, a buona ragione le soggettività che superano la fredda distanza (agevolata, si è detto, dal linguaggio asettico e “schermante” della scienza) e fanno affiancare alla sempre fondamentale cartella clinica una “cartella parallela”, nella quale il curante annota impressioni, incertezze, disagi, sentimenti vissuti nella relazione con il paziente. Un metodo sperimentato con i tirocinanti di medicina, i quali poi leggono le rispettive annotazioni ad alta voce nei loro incontri e vedono crescere la consapevolezza, la capacità di relazione, la coesione di gruppo. Ed anche una maggiore capacità di vedere le incongruenze del sistema sanitario e le strade per superarle.
La medicina narrativa, dunque, non è una nuova branca di specializzazione, bensì «un nuovo sguardo di riferimento per il lavoro clinico: offre un insieme di competenze, tradizioni e testi per un’assistenza ricca, rispettosa, adattata agli individui, davvero in contatto con le aspettative e gli ideali professionali». E non isola la professione medica e le sofferenze del paziente dal contesto politico e sociale: «Non possiamo più sposare un sistema basato sul denaro, in cui gli ammalati hanno sempre meno voce in capitolo. La medicina narrativa aiuta a trovare gli strumenti per lavorare insieme alla costruzione di una sanità equa, umana ed efficiente».

Il risvolto: Come integrare le storie dei pazienti nella pratica clinica? Come arricchire le evidenze e l’oggettività della scienza medica con il vissuto e le emozioni individuali? 
In un saggio che è ormai un classico, Rita Charon risponde a queste domande mettendo la narrazione al servizio della medicina, per farci scoprire il potere del racconto nelle relazioni terapeutiche. Attraverso la lettura e la scrittura, infatti, si possono sviluppare quelle capacità di ascolto e di attenzione necessarie non solo per arrivare a diagnosi più adeguate e a terapie più condivise, ma anche per prendersi cura davvero di chi soffre, in contrasto con un sistema sanitario che sembra anteporre le preoccupazioni aziendali e burocratiche ai bisogni delle persone.
Con esempi tratti dalla pratica clinica e dalla letteratura, con un impianto teorico solido e multidisciplinare, Rita Charon ci mostra in che modo si possa sviluppare un contatto empatico con il paziente, per una medicina più umana, etica ed efficace. Più narrativa.

L’incipit: Possiamo definire “narrativa” quella medicina praticata con le competenze che ci permettono di riconoscere, recepire, interpretare le storie di malattia e reagirvi adeguatamente. Quando vogliamo descrivere la situazione particolare di un individuo nel corso del tempo o capire perché succede qualcosa, ci serviamo della narrazione. Ordiniamo cronologicamente i fatti, stabiliamo un inizio, una parte centrale e una fine, creando i rapporti di causa ed effetto attraverso la trama. Ascoltiamo o ricordiamo miti, leggende, aneddoti, romanzi, testi sacri. Cerchiamo collegamenti per mezzo delle metafore e del linguaggio figurato. Raccontandoci attraverso i diari e i sogni, nelle amicizie e negli amori, durante le sedute dall’analista, non solo conosciamo meglio chi siamo, ma lo diventiamo anche. Realizziamo attività fondamentali dell’esistenza come accettare gli altri e noi stessi, rimanere in contatto con le tradizioni, dare un senso agli eventi, rendere omaggio ai nostri legami.
Grazie alla medicina narrativa, si può identificare meglio la malattia, trasmettere sapere e rispetto, collaborare con umiltà tra colleghi, accompagnare il paziente, insieme con la sua famiglia, lungo la sofferenza. Si possono offrire cure più etiche ed efficaci. Questo campo è emerso gradualmente dalla confluenza di varie fonti: le scienze umane, la narratologia, le ricerche sulla relazione tra medico e paziente… Si tratta di un sapere concreto, che aiuta a comprendere il vissuto dei pazienti, ma anche degli operatori sanitari.
Un giorno stavo lavorando a un contributo dal titolo provvisorio The Narrative Hemisphere of Medicine. All’improvviso, ho capito che quasi tutto è segnato dalle storie: la clinica, la didattica, la ricerca. L’espressione “medicina narrativa” designa, in maniera sintetica, un’attività di cura che si forma attraverso la teoria e la pratica della scrittura, della narrazione e della ricezione. Mi piace perché indica una cosa più che un’idea; e, come dice William Carlos Williams, ci sono “idee solo nelle cose”. Inoltre, si riferisce sia a una prassi, sia all’insieme dei nodi concettuali che la costituiscono.

L’autrice: Rita Charon, medico internista e studiosa di letteratura, ha creato e dirige il Programma di medicina narrativa alla Columbia University. Si occupa di medicina narrativa da quasi trent’anni, ed è la personalità più nota a livello mondiale in questo campo. Suoi contributi sono apparsi, tra gli altri, su Annals of Internal Medicine, Journal of the American Medical Association, The Lancet e The New England Journal of Medicine

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