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Il libro: A esplorare l’intreccio incandescente fra religione e violenza ci conduce in queste pagine una guida d’eccezione. Ecco le guerre di Dio, la violenza che reca il marchio sacrale: presente in molti luoghi dell’Antico Testamento, dal conflitto fra tribù alla guerra santa, quasi scompare nei Vangeli, alla luce del dirompente messaggio di Cristo. Poi è la volta del fondamentalismo, «la lettera che uccide», un fenomeno che oggi riguarda soprattutto l’islam, ma che si inscrive anche nella tradizione ebraico-cristiana. Infine, tocchiamo il tema, vivo e lacerante ai nostri giorni, del rapporto con lo straniero: un incontro che può generare esclusione e rigetto, come emerge in vari passi biblici nazionalistici o etnocentrici, ma che può diventare anche dialogo, aprendosi all’universalismo della salvezza e all’uguaglianza di tutti gli esseri umani.
Le recensioni:
Nel volume il presidente del Pontificio Consiglio della Cultura esplora l’intreccio incandescente fra religione e violenza, dalle “guerre di Dio”, dove la violenza che reca il marchio sacrale al conflitto fra tribù alla guerra santa. Fino alla quasi scomparsa nei Vangeli, alla luce del dirompente messaggio di Cristo. Poi è la volta del fondamentalismo, «la lettera che uccide», un fenomeno che oggi riguarda soprattutto l’islam, ma che si inscrive anche nella tradizione ebraico-cristiana. Infine, tocca il tema, vivo e lacerante ai nostri giorni, del rapporto con lo straniero: un incontro che può generare esclusione e rigetto, come emerge in vari passi biblici nazionalistici o etnocentrici, ma che può diventare anche dialogo, aprendosi all’universalismo della salvezza e all’uguaglianza di tutti gli esseri umani.
(Avvenire, 17 ottobre 2019)
«Santa violenza», un titolo volutamente fastidioso per attirare l’attenzione su un tema controverso; due parole che non potrebbero essere più lontane scelte dall’autore del libro per navigare in mezzo a passi biblici sconcertanti e “scandalosi” per il lettore contemporaneo.
[…] il volume dovrebbe essere letto iniziando dalla fine, subito dopo aver dato una scorsa all’indice. L’ultima sezione infatti, dopo una trilogia tematica che ripercorre Le guerre di Dio, La lettera che uccide, La Bibbia di fronte allo straniero comprende un sintetico lessico teologico utile per orientarsi in un mondo così lontano dal nostro, perché — spiega Ravasi — i soggetti che costituiscono la sostanza della violenza sacralizzata e della simbologia marziale sono tessere di un mosaico molto più complesso, che trovano la loro pienezza in uno sviluppo più ampio e globale. […]«In questa linea il messaggio messianico, quello escatologico e soprattutto l’annuncio evangelico ricompongono le varie tessere proposte, in aggiunta alle più oscure prima considerate, in un progetto finale diverso e più luminoso». Siamo all’interno, infatti (è bene non dimenticarlo) di un itinerario pedagogico. Non a caso il tema della “guerra santa” scompare nel Nuovo Testamento. «La via maestra per comprendere simili testi marziali e violenti — ribadisce il porporato — è quella di tenere presente la qualità strutturale ed essenziale della rivelazione biblica: è per eccellenza storica cioè innestata nella trama faticosa e tormentata della vicenda umana (si leggano, ad esempio, i cosiddetti “Credo storici”, professioni di fede di Israele che elencano gli eventi principali della storia di Israele, dall’elezione dei patriarchi all’esodo dall’Egitto, fino alla conquista della terra promessa). Quella divina non è una parola sospesa nei cieli e comunicabile solo estaticamente, ma è concepita come un germe che si apre la strada sotto il terreno sordo e opaco dell’esistenza terrena. La Bibbia si autopone come storia progressiva di una rivelazione di Dio e di una rivelazione progressiva del senso della nostra storia apparentemente insensata o per lo meno convulsa e confusa. In questa economia generale della Scrittura, secondo l’ermeneutica teologica postulata dalla Bibbia, le pagine violente sono la rappresentazione di un Dio paradossalmente paziente che, adattandosi e sopportando la brutalità e il limite dell’uomo, cerca di condurlo verso un altro orizzonte».
(Silvia Guidi, OSSERVATORE ROMANO, 17 ottobre 2019)
L’incipit:Sembra una ripresa cinematografica; è, invece, la descrizione di un poeta ebreo, il profeta Nahum, che nel 612 a. C. sta “sceneggiando” quasi in presa diretta la caduta di Ninive, la detestata capitale della superpotenza orientale, l’Assiria, sotto l’irruzione congiunta di Ciassare, re dei Medi, e di Nabopolassar, re della dinastia babilonese. Ecco la scena affidata a uba sequenza impressionistica di azioni militari, costruita sulla secchezza di un elenco:
Sibilo di frusta, fracasso di ruote,
scalpitìo di cavalli, cigolìo di carri,
cavalieri incalzanti, lampeggiare di spade.
scintillare di lance, feriti in quantità,
cumuli di morti, cadaveri senza fine,
s’inciampa nei cadaveri.
Le pagine dell’Antico Testamento sono spesso striate dal sangue delle battaglie e si affacciano su rovine e devastazioni causate da eventi bellici. Una lingua lessicalmente povera come l’ebraico classico (5750 vocaboli in tutto) si mostra sorprendentemente ricca quando deve designare la violenza. […]
Un orizzonte cupo, segnato da conquiste e lotte, che per altro sembrano essere il basso continuo della storia umana, come pessimisticamente dichiara Eraclito nel suo frammento 53: «La guerra (pólemos) è madre di tutte le cose e di tutte la regina (basiléus). Gli uni rende dèi, gli altri uomini; gli uni fa schiavi, gli altri liberi». Anche il Nuovo Testamento, che pure inalbera il vessillo dell’amore ed eredità l’aspirazione messianica biblica allo shalôm «pace», non ignora questa realtà aspra che costella le strade della vita dei popoli. Lo steso Gesù, ad esempio, ricorrerà a un modello di strategia militare applicandolo all’esistenza cristiana da vivere con intelligenza e sapienza: «Quale re, partendo in guerra contro un altro re, non siede prima a esaminare se può affrontare con diecimila uomini chi gli viene incontro con ventimila? Se no, mentre l’altro è ancora lontano, gli manda un’ambasceria per chiedere pace».
L'autore: Gianfranco Ravasi è presidente del Pontificio Consiglio della Cultura e della Pontificia Commissione di Archeologia Sacra. Esperto biblista ed ebraista, collabora con vari giornali, tra cui L’Osservatore Romano e Il Sole 24 Ore. La sua opera conta più di centocinquanta volumi. Tra i libri più recenti ricordiamo, per Mondadori, Le Beatitudini. Il più grande discorso all’umanità di ogni tempo (2016) e Breviario dei nostri giorni (2018); per il Mulino ha già pubblicato Non desiderare la donna e la roba d’altri (con A. Tagliapietra, 2010).