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SCALFARIMai Eugenio Scalfari si era aperto a considerazioni così intime. Sono le confessioni di un novantacinquenne divertito e attratto da questa lunga epoca di transizione. 
Attraverso le voci di Antonio Gnoli e Francesco Merlo, egli rivive il suo «secolo di carta», negli anni del trionfo e in quelli recenti del declino. Interrogandosi su cosa potrà riservarci il futuro.
Se c’è un modo di essere autenticamente se stessi, queste pagine lo rivelano attraverso gli episodi meno noti o addirittura sconosciuti della sua vita.
Ecco allora scorrere, come in un romanzo, l’infanzia cattolica e i genitori in crisi, le profonde amicizie e le contese giovanili, il fascista e l’antifascista, gli amori saldi e le avventure rapsodiche, le malattie e la forza per affrontarle, le professioni svolte e la politica vissuta giorno per giorno. Niente resta occultato in questa sorprendente storia.

[…] a leggere Grand Hotel Scalfari alla ricerca di aneddoti, se ne trovano tanti, e strepitosi. Ma il libro è molto di più. Era un’operazione editoriale ad alto rischio di reducismo e di celebrazione; è diventata il racconto di formazione non solo di un giornale e di una comunità, ma di uno stile e di una corrente politico-culturale che da sparuta si fa di massa, sia pure quasi sempre minoritaria e quindi all’opposizione. E se questo è accaduto significa che ognuno dei vari artefici dell’operazione editoriale ha saputo fare il suo mestiere: Eugenio Scalfari, il protagonista, racconta, Antonio Gnoli e Francesco Merlo domandano e scrivono, e l’editor Ottavio Dibrizzi con il know-how della Marsilio fa la sua parte. Il risultato è un libro che resterà.
(Aldo Cazzullo Corriere della Sera, 22 novembre 2019)

Scalfari rivive il suo “secolo di carta” negli anni del trionfo e in quelli attuali del declino generalizzato, ma non c’è nostalgia nel suo racconto, sono solo ricordi. Di se stesso dice: «Ci sono mille Scalfari e tutti mi somiglian o di carta” (ed. Marsilio specchi). Scalfari rivive il suo “secolo di carta” negli anni del trionfo e in quelli attuali del declino generalizzato, ma non c’è nostalgia nel suo racconto, sono solo ricordi. […]
Ci sono tante cose in questo libro, i personaggi e le vicende della storia si susseguono. Lo stesso Scalfari passa da fascista ad essere antifascista, così come suo padre che è stato anche direttore del casinò di Sanremo. Nel secolo breve ci furono due guerre, scomparve la monarchia sabauda e arrivò la Repubblica. Scalfari ha vissuto tutto questo e ancora ce lo racconta come un nonno più vecchio, ma non più saggio.
(Tony Zermo, La Sicilia, 10 novembre 2019)

L’incipit: Mi affascinava la lama che mio padre si passava sul viso. Avevo dieci anni, mi sedevo su un panchetto basso e gli puntavo gli occhi da sotto in su mentre si radeva in piedi. Nel 1934 esistevano già le Gillette, le piccole lame intelligenti che oggi sono fisse o a testina rotante, elettriche o usa e getta, con inclinazione angolare e tubo. Ma nel mondo dove sono nato e cresciuto, con il gabinetto sul balcone, anche i rasoi non erano quelli di «sicurezza», ma ancora antichi, ottocenteschi, micidiali armi di chirurgi a mano libera. Almeno nell’igiene personale e nella diffusione della stanza da bagno, il Novecento, che pure sarebbe stato breve, fu lento a imporre il suo famoso Progresso. E forse anche per questo, da bambino, subivo l’attrazione per quel rito militare al quale ero ammesso solo la domenica mattina, quando mio padre aveva più tempo e dunque, in un angolo della camera da letto, versando l’acqua calda dalla brocca nel bacile di smalto bianco che stava sul trespolo di ferro, accanto alla vasca dove la mamma mi lavava con delicata energia, si insaponava il viso col pennello, affilava la lama passandola sul cuoio e mi permetteva di assistere all’implacabile guerra quotidiana dell’uomo contro la barba, al rischio virile davanti a uno specchio che già allora ci rivelava che non somigliavo a lui, ma a mia madre.      

Gli autori:

Francesco Merlo, giornalista a Catania, a Milano, a Roma, per tredici anni inviato a Parigi, diciannove anni al «Corriere della Sera» e dal 2003 alla «Repubblica». Con Il sillabario dei malintesi (2018) ha vinto il premio Napoli.

Antonio Gnoli, scrive per «Repubblica» di cui è stato caporedattore delle pagine culturali. Si è occupato di Chatwin, Rilke, Junger, Kojève. Tra i suoi libri più recenti, con Francesco De Gregori, Passo d’uomo (2016) e, con Giacomo Rizzolati, In te mi specchio (20126).

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La parabola della parola "vecchiaia": da evocatrice di saggezza e rispetto a termine da nascondere e negare- La vuota retorica "del nuovo"

Grande studio (ambizione) degli uomini mentre sono immaturi, è di  parere uomini fatti, e quando sono uomini fatti, di parere immaturi.   
 
(G. Leopardi, Zibaldone, 16. Settem. 1832).

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