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ROBOTCrescita, lavoro, sostenibilità: sopravvivere alla rivoluzione tecnologica, di Marco Magnani, Utet, Milano, 2020, pp. 272, € 15,00.

Nell’estate 2019 Amazon ha presentato una flotta di droni autopilotati per consegnare gli ordini in mezz’ora. Nei due anni precedenti, il robot cinese Xiaoyi superava l’esame di abilitazione alla professione medica e l’androide Sophia otteneva la cittadinanza saudita dopo difficili test linguistici. Le professioni intellettuali sono a rischio quanto il lavoro di operai e impiegati: sofisticati algoritmi eseguono transazioni finanziarie senza trader, scrivono articoli al posto dei giornalisti, analizzano contratti più rapidamente dei legali, formulano diagnosi più accurate dei medici.

Come sempre nella storia, le macchine sostituiscono l’uomo e le innovazioni aumentano la produttività. Ma stavolta, in un mondo globalizzato e iperconnesso, c’è il timore di una crescita senza lavoro e non rispettosa dei vincoli ambientali, sociali, demografici, alimentari, energetici.
Fatti non foste a viver come robot è una profonda riflessione sul concetto di sostenibilità. L’economista Marco Magnani ritiene possibile una crescita più bilanciata e disinnesca l’allarmismo apocalittico sul destino del lavoro: identifica le mansioni a rischio ma anche i nuovi mestieri; analizza i modelli di crescita alternativi – economia circolare e civile, sharing economy, decrescita felice – e mette a confronto diverse strategie socioeconomiche, dalla riduzione dell’orario di lavoro alla robot tax, dal lavoro di cittadinanza al reddito universale; formula le innovative proposte di capitale di dotazione e dividendo sociale, che faranno molto discutere.
Per evitare la crescita insostenibile e il lacerante conflitto uomo-macchina bisogna utilizzare le innovazioni per migliorare la vita dell’uomo, investire senza paura in scuola e formazione, riscoprire la valenza identitaria e sociale del lavoro, soddisfare i bisogni delle generazioni presenti senza gravare su quelle future, preservare la salute del pianeta, far sì che in molti possano beneficiare della ricchezza prodotta. Redistribuendola, ma ancor più creando meccanismi di pre-distribuzione dei mezzi che la generano.
L’obiettivo è governare il cambiamento epocale instaurando una convivenza intelligente con le macchine. Fra i “nuovi mestieri” potrebbe essercene soprattutto uno, antichissimo: l’uomo-pastore. Dei robot.

Le recensioni:
[…] È possibile, a questo punto, migliorare la vita dell’uomo nonostante l’invasione dei robot? Se lo chiede Marco Magnani, economista – ma potremmo dire anche umanista, visto l’approccio di ampio respiro – che da anni indaga i rapporti tra economia e società, alla perenne ricerca di una sintesi tra le sfere della finanza e le esigenze sociali dell’uomo […]
È lo stesso modello di crescita del capitalismo liberale a essere messo in discussione parendo una serie di quesiti enormi non solo sul ruolo delle alternative possibili (economia circolare, sharing economy, convivialismo), ma soprattutto sulla redistribuzione dei redditi in un mondo nel quale l’uomo fosse in larghissima parte sostituito dalle macchine; anche perché gli investimenti necessari in nuove tecnologie “spingono a remunerare il capitale investito molto più del lavoro”, sottolinea Magnani ampliando lo spettro della questione dal discorso economico a quello inevitabilmente politico e sociale. Posto che il luddismo è stato sconfitto dalla storia, Magnani cerca di individuare una terza vi, ovvero la sintesi di una convivenza intelligente tra uomo e macchina consapevole di una sola certezza: “la transizione sarà lunga, difficile e trasversale a tutti i settori”.
In sette capitolo scritti con chiarezza esemplare e volutamente adatti a una platea ampia, Magnai fa una disamina dei motori di crescita, della rivoluzione tecnologica, delle professioni a rischio (ma anche dei nuovi mestieri che nascono), della sostenibilità e infine delle scelte da compiere. Lasciandoci un messaggio di speranza su un epilogo positivo, ma a due condizioni: “La prima è che l’uomo ricordi che il giardino dell’Eden gli è stato affidato affinché lo coltivi e lo custodisca. La stessa cura va riservata al pianeta e alle sue risorse, preservandole per le future generazioni. La seconda condizione è che, nel rapporto con le macchine, l’uomo riscopra ed eserciti in pieno la propria capacità di guida, la sua funzione di “pastore”. Essere pastore di robot significa utilizzarli per migliorare la propria vita mantenendo centralità e preminenza”.
(Aldo Tagliaferro, La Gazzetta di Parma, 3 febbraio 2020)

[…] È l’innovazione tecnologica a dettare la nuova realtà: Marco Magnani affronta le enormi questioni che essa pone e avanza una serie di proposte originali per gestire al meglio il nuovo mondo. […]
Il timore diffuso nel mondo è che robot, intelligenza artificiale, Big data distruggano posti di lavoro e creino disuguaglianze. Paure che moltiplicano le proposte d’intervento, dalla tassa sui robot ai vari redditi di cittadinanza. […]
Nell’analisi, il libro articola una serie di approfondimenti non scontati per delineare realtà e tendenze. Ma la parte più decisamente innovativa, destinata a fare discutere, riguarda una serie di proposte finalizzate a creare le condizioni affinché gli individui e le società siano in grado di affrontare le macchine intelligenti che potrebbero, almeno in una fase, iniziale, mangiare lavoro umano. Allo scopo di ridurre le disuguaglianze dei punti di partenza, Magnani immagina una scuola obbligatoria, gratuita e seria fino alla maturità: di fronte ai robot occorre essere preparati. A essa dovrebbe seguire un’università meritocratica, alla quale possano accedere anche i meno abbienti grazie a un sistema di prestito d’onore garantito dallo Stato (già in essere in altri Paesi). Il punto forte è la proposta di un «capitale di dotazione».
Si tratta di creare una sorta di fondo sovrano che produca reddito investendo in attività economiche innovative. Al momento della nascita, a ogni bambino si assegna un certo numero di quote del fondo, per 25 anni: da quel momento, il beneficiario riscuote i dividendi, per integrare il proprio reddito (ma non può vendere le quote che passeranno, quando morirà, a un nuovo nato). Non una redistribuzione, dice Magnani, una «pre-distribuzione». Idea brillante, che varrà la pena discutere.
(Danilo Taino, Corriere della Sera, 8 febbraio 2020)

L’incipit: Nel corso della storia l’innovazione – tecnica, scientifica, tecnologica, organizzativa, commerciale, finanziaria – ha portato cambiamenti dirompenti, nell’economia e nella società, spesso scardinando equilibri consolidati. Ma nel lungo periodo ha sempre avuto un impatto positivo su crescita e occupazione.
Da una parte il collegamento virtuoso tra innovazione e crescita ha generalmente favorito il superamento di vincoli demografici e scarsità di risorse, consentendo di cogliere sempre nuove opportunità. Dall’altra, la crescita ha a sua volta fatto da cinghia di trasmissione tra innovazione e occupazione. Certo, in ogni rivoluzione industriale i benefici economici sono emersi dopo qualche tempo, per i necessari adattamenti a nuove tecnologie, modelli organizzativi, metodi di lavoro. Inoltre, i beneficiari non sono generalmente stati gli stessi imprenditori e lavoratori che avevano perso attività e professioni tradizionali. Ciò nonostante il saldo netto, in termini sia di crescita sia di occupazione, è sempre stato largamente positivo.
Sarà così anche questa volta? L’attuale modello di crescita è sostenibile nel lungo termine? E sarà sufficiente per realizzare il «soddisfacimento dei bisogni delle generazioni presenti senza compromettere la possibilità di quelle future di rispondere ai propri bisogni?»[1]. L’ondata d’innovazioni, soprattutto tecnologiche, che caratterizza la nostra epoca sarà in grado di generare un incremento dell’economia e dell’occupazione? In che tempo e con quali costi economici e sociali sarà raggiunto un nuovo punto di equilibrio?
Le risposte, questa volta non sono scontate. La storia potrebbe ripetersi fornendo, di nuovo, una soluzione positiva. Ma ci sono elementi che inducono a non escludere che this time may be different: questa volta le cose potrebbero andare diversamente rispetto al passato.

L’autore: Marco Magnani, economista, vive da trent’anni fra Italia e Stati Uniti. Docente di Monetary and Financial Economics in Luiss, fellow dell’Istituto Affari Internazionali e dal 2011 Senior Research fellow alla Harvard Kennedy School of Government. 
Ha lavorato per vent’anni in banche d’investimento, in JPMorgan a New York e come dirigente di Mediobanca a Milano, ed è stato advisor di imprese americane, europee e asiatiche. Oggi fa parte di diversi consigli di amministrazione, come indipendente, e comitati scientifici. È stato nominato Young Global Leader del World Economic Forum di Davos e ha fatto parte per tre mandati nel Global Agenda Council of Finance & Capital.
Ha studiato economia generale all’Università di Roma “La Sapienza” e finanza alla Columbia University di New York. Ha frequentato corsi di public policy della Harvard Kennedy School, del Jackson Institute of Global Affairs di Yale University e della Lee Kuan Yew School of Public Policy di Singapore. 
Collabora con “Il Sole 24 Ore” e “AffarInternazionali”. Ha pubblicato Creating Economic Growth, (Palgrave Macmillan, 2015). Per Utet è autore di Sette anni di vacche sobrie (2014) e Terra e buoi dei paesi tuoi (2016).



[1] Definizione di sviluppo sostenibile della Commission Onu su ambiente e sviluppo nel rapporto Brundtland Our Common Future (1987).

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(G. Leopardi, Zibaldone, 16. Settem. 1832).

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