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IL TUO CAPOContro il lavoro disumano, di Antonio Aloisi e Valerio De Stefano, Editori Laterza, Bari-Roma, pp. 248, € 18,00.

 

Automazione, piattaforme, smart working, algoritmi: il mondo del lavoro sta vivendo una vera e propria rivoluzione. La paura è che crolli il numero degli occupati e che il lavoro umano venga riconosciuto e apprezzato sempre meno. Si teme la capacità di controllo dei software di intelligenza artificiale. Ma non esistono tecnologie buone e tecnologie cattive; esistono usi distorti e usi consapevoli delle invenzioni e delle innovazioni.

La tecnologia cambia rapidamente e incide in profondità in tutti gli ambiti, con esiti spesso preoccupanti. È quello che accade al mondo del lavoro, tra trasformazione digitale, utilizzo dei robot e dell’intelligenza artificiale e diffusione delle piattaforme. Che cosa sta accadendo alle professioni che non sono state spazzate via dalla tecnologia? Come ci si confronta con strumenti di sorveglianza dei lavoratori sempre più pervasivi? Quante possibilità ci sono che il modello della gig-economy si affermi come nuovo paradigma produttivo? Che cosa potranno fare le parti sociali e le forze politiche per mettere in campo protezioni efficaci?

La qualità del lavoro presente e futuro dipende da come esso è concepito, contrattato e organizzato. La trasformazione digitale può essere infatti un alleato indispensabile, dalla fabbrica alla scrivania, dal magazzino all’ufficio, ma va messa alla prova sul terreno della convenienza sociale e politica e non solo su quello della convenienza economica. Questo libro è uno strumento prezioso per orientarsi con coordinate precise sui nuovi scenari, sui rischi che corriamo e sulle scelte necessarie per affrontare il futuro.

 

Strumenti per semplificare la vita o per controllare e mercificare le persone? Il dibattito sulle tecnologie impegna ormai gli esperti di ogni branca della conoscenza umana. Perché si ripercuote su tutta l’esistenza umana. Anche sul lavoro, dove viene usata per parcellizzare il lavoro e diffondere l’economia dei lavoretti, spacciandola per l’autonomia del lavorare quando si vuole mentre ti costringere ad un impegno continuo e non protetto. Si spiega, così, perché dal dibattito non possano rimanere estranei i giuslavoristi e le ragioni della nascita di questo libro, scritti da due italiani che insegnano in Università all’estero. «Rivendichiamo il diritto a criticare la tecnologia, a sfidarla, a governarla senza subirla. Il lavoro non è una merce, non è neanche una tecnologia» hanno affermato in una recente intervista[1]. E tuttavia si svolge sempre più sotto l’ala dell’algoritmo, il quale non si autogenera, ma è programmato dagli umani in vista di scopi, tanto che esso rappresenta «il campo della contrattazione del futuro che dovrà individuare cosa entra nell'algoritmo e cosa resta fuori». Per far ciò occorre sottrarlo ad un’aura che ne fa una sorta di magia per pochi e renderlo campo di confronto e di esercizio della democrazia e di confronto, anche nella sfera lavorativa.

Ma occorrerà tenere presente che all’algoritmo è oggi già affidata una serie di funzioni selezione, assunzione, organizzazione, monitoraggio, persino i licenziamenti) che rischiano di fargli detenere un potere sempre meno controllabile: «I rischi di preferenze, discriminazioni, omologazioni sono più alti che mai. I manager, spiazzati come o più dei lavoratori, possono ritrovarsi neoassunti "clonati" dall'algoritmo, scelti a specchio».

E poi «L'algoritmo sa tutto: cosa fai quando lavori e quando non lavori, mappa col gps la velocità nel prendere o consegnare un pacco, ti sanziona se sei troppo lento o non stai nei tempi, è solerte nella sorveglianza. Può licenziarti. Una macchina capricciosa e imprevedibile, spesso sconosciuta agli stessi manager che la usano scommettendo su neutralità e imparzialità. In realtà ogni algoritmo risponde solo al suo programmatore e spesso nemmeno più a lui». Occorre, dunque, come si legge nel libro, considerare che «la tecnologia è un alleato imprescindibile, dalla fabbrica alla scrivania, dal magazzino all’ufficio. È essenziale, però, sfidarla continuamente sul terreno della convenienza sociale e politica, prima ancora che economica». Il libro, così, conduce argomentate analisi sui processi in atto, dai quali emerge quali siano le poste in gioco, e ci guida nella ricerca delle strade che consentano di utilizzare la tecnologia per migliorare la vita e il lavoro. Si può, in definitva, usufruire di tutti i vantaggi che la tecnologia ci procura senza lasciare che sovverta i valori che spetta agli umani scegliere e perseguire. «Insomma, – scrivono gli autori a conclusione del libro – il futuro delle tecnologie e il futuro del lavoro non sono scritti negli astri. Non si svilupperanno sulla base di leggi naturali imperscrutabili e immodificabili, Digitale, lavoro, automazione e diritti sono processi troppo umani: dipendono dalle regole che la collettività decide di darsi. Dal momento che il loro avvenire riguarda tutti, non può essere rimesso alle sole decisioni dei programmatori informatici della Silicon Valley, dei CEO degli unicorni tech, o di chi crea e mette all’opera strumenti di sorveglianza digitale di massa».

 

L’incipit:Nell’ottobre del 2015, dopo aver organizzato una conferenza sul lavoro digitale, fummo invitati a presentare le nostre ricerche al Parlamento europeo. Il palazzo che lo ospita è un vero labirinto e, com’era prevedibile, ci perdemmo subito tra i corridoi alla ricerca della sala riunioni. A salvarci ci pensò un vecchio collega di università, nel frattempo diventato assistente parlamentare, che ci incontrò per puro caso a svariati piani di distanza dall’aula dove si sarebbe tenuto il nostro intervento e si offrì di accompagnarci. Nel tragitto chiese che ci facessimo al Parlamento con quell’aria spaesata. Gli rispondemmo che eravamo stati invitati a parlare di lavoro tramite piattaforma. «Hai presente gli autisti per Uber?».

Il nostro collega ci guardò stralunato e si domandò cosa c’entrassero due giuristi del lavoro con Uber. «Non è un problema di antitrust e di trasporti?», ci chiese. Rispondemmo che, per noi, la questione principale erano le condizioni di lavoro degli autisti e il fatto che, essendo qualificati come lavoratori autonomi, questi potessero contare su ben poche protezioni giuridiche, a fronte di un rapporto molto sbilanciato anche per via dell’impiego massiccio di nuove tecnologie. Avevamo il sospetto, gli confidammo, che di lì a poco questo sarebbe stato uno dei temi più caldi nel dibattito sul futuro del lavoro e, in particolare, sulle piattaforme digitali che stavano arrivando in tutte le grandi città europee.

Fu una scommessa facile da vincere, diciamoci la verità. Dal 2015 in avanti, il lavoro per società come Deliveroo, Uber, Glovo o su piattaforme online come Amazon Mechanical Turk è approdato sulle prime pagine dei giornali di mezzo mondo, complice una miriade di cause che i lavoratori hanno intentato praticamente ovunque operino questi modelli di business. Molti governi si sono domandati se fosse il cado di intervenire con nuove regole. Nel frattempo, la produzione accademica su questi temi è stata addirittura alluvionale: non si contano le pubblicazioni, le conferenze, i seminari che sono stati imbastiti negli ultimi anni sulle condizioni dei lavoratori delle piattaforme.

 

Gli autori:
Antonio Aloisi insegna Diritto del lavoro all’Università IE di Madrid, dove èanche Marie Skłodowska-Curie Fellow. È stato Max Weber Fellow all’Istituto Universitario Europeo di Firenze, ha insegnato all’Università Bocconi di Milano e ha svolto attività di ricerca presso la Saint Louis University negli USA. Ha collaborato a ricerche promosse da istituzioni internazionali e ha scritto articoli divulgativi per “il Mulino”, “Linkiesta” e “Pagina99”.

Valerio De Stefano insegna Diritto del lavoro all’Università di Lovanio (KU Leuven) in Belgio, dove coordina anche un gruppo di giovani ricercatori. Ha insegnato presso l’Università Bocconi di Milano, è stato avvocato giuslavorista e ha lavorato presso l’Organizzazione Internazionale del Lavoro, agenzia specializzata delle Nazioni Unite con sede a Ginevra. Ha scritto articoli divulgativi per “il Mulino”, “il manifesto” e “lavoce.info".



[1] Il Venerdì di Repubblica, 30 ottobre 2020. Da questa intervista, condotta da Valentina Conte, sono tratti anche i successivi virgolettati non riferiti direttamente al testo del libro.

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