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ENEAdi Andrea Marcolongo, Laterza, Bari-Roma, 2020, pp. 216, € 16,00.

Se in tempo di pace e di prosperità chiediamo a Omero d’insegnarci la vita, a ogni rivolgimento della Storia dovremmo deporre Iliade e Odissea e affrettarci a riprendere in mano l’Eneide. Andrea Marcolongo ci fa scoprire l’essenza vera di Enea. L’eroe che cerca un nuovo inizio con in mano il bene più prezioso: la capacità di resistere e di sperare. Una lezione attualissima.
Vi siete mai chiesti perché, pur avendo dovuto tutti leggere l’Eneide a scuola, fatichiamo a ricordare qualcosa che non sia la fuga da Troia o la grande storia d’amore tragico con Didone? Perché abbiamo così facilmente dimenticato gli epici racconti sulle mitiche origini di Roma e del suo impero? Forse perché i versi del poema di Virgilio non sono adatti ai momenti in cui le cose filano lisce e allora si va in cerca di avventura nella letteratura. Il canto di Enea è destinato al momento in cui si sperimenta l’urgenza di raccapezzarsi in un dopo che stordisce per quanto è diverso dal prima in cui si è sempre vissuto. Enea è l’eroe che vaga nel mondo portandosi sulle spalle anziani e bambini. È colui che viaggia su una nave senza nocchiero alla ricerca di un nuovo inizio, di una terra promessa in cui ricominciare. È l’uomo sconfitto, colui che non ha più niente tranne la capacità di resistere e di sperare. Un personaggio quanto mai attuale.

[…] Il momento di una crisi che segna il passaggio di un'epoca, vissuto da Enea dalla fine di Troia alla prima pietra della fondazione di Roma, è in qualche modo lo stesso vissuto da Virgilio mentre scriveva l'Eneide, quando Roma passò con Augusto dall'era repubblicana all'impero. Ed in qualche modo è lo stesso che viviamo noi oggi, una terra di mezzo da superare per ricostruire un futuro nuovo. Non è facile e non lo è stato neanche per Enea che si mostra con tutta la sua fatica di vivere, lontano dal tipo degli eroi senza macchia e senza paura, per scelta. Lui è l'uomo che `deve' andare avanti, e combattere guadagnandosi un futuro. Non è il suo un viaggio di ritorno, come quello di Ulisse che si scaldava sognando il suo talamo e la sua casa mentre andava per mare, anche sperimentandosi ma conscio di un luogo da raggiungere. Quello di Enea è un viaggio alla cieca ricerca di una nuova terra (ricorda quello disperato degli odierni profughi) e di un nuovo inizio. E un viaggio in cui risuona l'eco del destino: deve andare a fondare una città. Quella voce è la vera passione che lo muove nel profondo, la vibrazione interiore che lo spinge anche a lasciare Didone. Anche la figura della principessa sedotta e abbandonata, che si uccide per amore, è riIetta con occhi meno stereotipati in queste pagine. Didone è una donna che ha perso il marito e che soffre già prima di incontrare Enea e, senza avere da lui nessuna promessa e nessun segnale tangibile di un futuro insieme, gli offre tutto il suo regno e se stessa. Mette sostanzialmente lei in mano all'uomo la responsabilità della sua felicità, ma lui non è lì per quello, è mosso da un altro destino di cui le ha parlato da subito, e non può darle quello che vuole. Non la seduce quindi con l'inganno, e il suo senso di responsabilità è verso gli uomini che lo seguono e verso la luce di un diverso futuro che segnerà la storia del mondo intero. L'Eneide per Andrea Mastrolongo in pratica è un vero manuale di istruzioni in tempo dì crisi, perché la lezione di Enea insegna che dal buio delle macerie di una distruzione può davvero costruirsi l'alba di un nuovo mondo.
(Claudia Presicce, Nuovo Quotidiano di Puglia, 20 novembre 2020)

C’è stato un momento, molto lungo, della storia della letteratura, in cui Virgilio occupava una posizione fondamentale nel pantheon degli autori classici, proprio accanto ad Omero. Non è un caso che Dante avesse scelto proprio lui come guida per accompagnarlo nel viaggio più pericoloso, quello negli inferi.
Oggi Virgilio e il suo eroe, Enea, sono un po’ dimenticati.
[…] Si può recuperare la fama di Enea? A chiedersi il motivo di questa rimozione è Andrea Marcolongo – già autrice del best seller sul greco antico La lingua geniale (Laterza) – che lo fa con La lezione di Enea (Laterza), che con la sua consueta freschezza ci porta alla riscoperta dell’eroe troiano. Chi era dunque Enea? […] Enea è un eroe strano, è un fuggiasco. La sua avventura inizia a Troia, mentre la città viene devastata dalle fiamme della furia greca. Mentre il rogo della città illumina la notte Enea carica sulle spalle l’anziano padre, prende per mano il figlio, e fugge. Nella versione del mito raccontata da Virgilio Enea è fondamentale perché al termine di questo lungo viaggio diventerà il capostipite della dinastia che porterà alla nascita di Romolo e Remo, è quindi la radice della fondazione di Roma.
Eppure Enea è un perdente, un fuggitivo, un esule, secondo alcuni addirittura un traditore. Per questo l’Eneide è un poema adatto ai tempi inquieti. Se Ulisse viaggia per tornare a casa, Enea non sa dove sta andando, ma sa che ha un destino da compiere. Non è un eroe scaltro e coraggioso come Ulisse, né un uomo forte e determinato come Achille. Però ha una missione: fondare una nuova città. È guidato dalla speranza. Parte da una città ridotta in cenere dalla sconfitta, ma ha il desiderio di ricominciare.
Contro di lui si accanirà Eolo con la furia dei suo venti, la maledizione di Didone, una nuova guerra, e dovrà scendere negli inferi prima di poter riemergere e giungere in Lazio: Enea prende così coscienza del suo destino.
Considerato spesso un autore troppo enfatico e retorico, meno raffinato di Omero o di Ovidio, in realtà sotto la superficie Virgilio nasconde una grande profondità di indagine nell’animo umano. Lo scrive bene Marcolongo e mi trova d’accordo, ma se non vi fidate di noi fidatevi del consiglio di Dante.
(Matteo Cavezzali, Il Fatto Quiotidiano, 20 ottobre 2020)

Tra le tante letture possibili dell'Eneide, Andrea Marcolongo sceglie la strada meno trionfalistica. Enea è il fondatore che inciampa, l'eroe che non sa di esserlo, l'esecutore scrupoloso che obbedisce al Fato guardando alle generazioni future più che al proprio tornaconto. Nel suo nuovo saggio La lezione di Enea, la scrittrice studiosa del mondo classico che ha esordito quattro anni fa con il bestseller La lingua geniale, usa il poema di Virgilio per intraprendere un viaggio dentro le nostre fragilità. Enea, il re dei Dardani, personaggio minore nell'Iliade, è «l'eroe del dopoguerra» che si è lasciato alle spalle Troia in fiamme ed è partito per cercare un posto dove rifondare una patria e trasformare le macerie in un nuovo inizio. Questo Enea mite ma fermo, poco passionale, abituato a temperare piacere e senso del dovere, non conquista in genere i cultori delle maschie virtù e chi preferisce la propaganda (molte le pagine dedicate al rapporto non risolto tra Virgilio e Augusto). La forza interiore del personaggio può essere invece apprezzata nelle fasi turbolente della storia, perché Enea è l'eroe della resistenza e parla a chi conosce il dolore della perdita, a chi sa che a volte bisogna saper rinunciare alle passioni in vista di un progetto più grande. Il pensiero va a Didone, la regina cartaginese abbandonata nella disperazione della follia amorosa. Che i classici possano fornire ingredienti per una farmacopea del presente non deve stupire, in fondo i libri servono anche a questo. Se Marcolongo sceglie l'altro Enea, quello che piaceva a Giorgio Caproni, l'uomo ferito che i fascisti neanche vedevano, è perché cerca un antidoto per i nostri tempi, resi più deboli da un virus che sta minando molte sicurezze. In epoca di populismi e uomini soli al comando, la predilezione della scrittrice per le passioni temperate dell'Eneide ha un significato politico oltre che letterario. Quando Troia brucia c'è bisogno di qualcuno che raccolga i cocci e li rimetta insieme con pazienza.
(Raffaella De Santis, Robinson di Repubblica, 10 ottobre 2020)

L’incipit: Se la storia della letteratura si potesse riassumere in una in una sfida tra guardie e ladri, a quanto pare fino a ieri siamo stati tutti dalla parte dei ladri. Non ho mai sentito nessuno alla domanda “qual è il tuo eroe preferito” rispondere: Enea. E dire che per un po’ ho anche vissuto a Roma.
Se di Enea si ha una qualche pur lontana impressione – cosa non scontata, perché più spesso su di lui non si ha proprio nulla da dire, totale indifferenza –, è quella del debosciato. Dell’impiegato del Fato con la spina dorsale un po’ molle. Di colui che quasi per caso, sbattuto qua e là dagli dèi, si ritrova a fondare un impero a sua insaputa. E che, quando gli accade qualcosa di veramente epico come essere sedotto da un’irresistibile regina di Cartagine disposta a donargli il suo regno, scappa impaurito. Del resto, quale eroe se ne va in giro per il Mediterraneo a mani giunte facendosi forte solo della sua pietas?
Mi sono a lungo interrogata sulle ragioni di questi severi pregiudizi che gravano sul personaggio di Enea e che farebbero dell’Eneide un racconto per i deboli di spirito. Soltanto recentemente ho capito che questo disagio misto a scocciatura che si prova nel leggere il poema di Virgilio – o anche solo a sentirne parlare – non è legato tanto alla figura poco maestosa di Enea, bensì al momento in cui la si legge, l’Eneide. E a quel mio “recentemente” di poco sopra sono costretta ad aggiungere: purtroppo.
L’Eneide non è un poema per i tempi di pace. I suoi versi non sono adatti a quando le cose filano lisce. Quando va tutto bene, l’Eneide non può che annoiare a morte – e fortunatissimi coloro che, nei secoli, hanno sperimentato il lusso di sbadigliare sui suoi esametri. Ahinoi, il canto di Enea è destinato al momento in cui si sperimenta l’urgenza di raccapezzarsi in un dopo che stordisce per quanto è diverso dal prima in cui si è sempre vissuto. Per dirlo con le previsioni del tempo: l’Eneide è la lettura caldamente raccomandata quando si è nel mezzo della bufera, e pure senza ombrello – nelle giornate di sole serve a poco o niente.
Del resto, è stato così fin dall’inizio. Anzi, era così ancora prima di cominciare. Virgilio scriveva della fatica di Enea e intanto cercava di mantenersi saldo come poteva in quella temperie storica in cui l’impero di Roma sollevava prepotente la testa tra le macerie della repubblica.
È avvenuto nel Medioevo, quando non si sapeva dove andare né a chi appartenere né che lingua parlare dopo il crollo dell’impero romano d’Occidente – Romolo Augustolo deposto con un buffetto sulla guancia da Odoacre. Così è stato anche nella Firenze di Dante, divisa, come si separano le cellule, tra Guelfi e Ghibellini, tra Bianchi e Neri – in attesa dell’arrivo, un secolo dopo, di un Lorenzo il Magnifico. E si è tornati a chiedere conto a Virgilio anche tra Otto e Novecento, in un mondo sospeso tra l’euforia dettata dalla modernità appena annunciata e il terrore di scoprirne presto gli effetti collaterali: il “nuovo” ha sempre un peso indicibile da sostenere.
Per non parlare del più grande prima e dopo che divide in due segmenti non comunicanti la storia umana, la nascita di Cristo. A lungo si è tentato di rintracciare l’annuncio della nuova era cristiana nei versi di Virgilio, piegandoli nel tentativo di dare fondamenta concrete a ciò che, proprio per la sua natura divina, non le può avere – e che dunque sgomenta per quanto è inaudito.
In fondo, è naturale. In tempo di pace e di prosperità, chiediamo a Omero d’insegnarci la vita: giustamente reclamiamo qualcosa di più di una monotona serenità in cui lasciarci vivere. Il nostro thymós, θυμός per dirlo con i filosofi greci, ovvero il nostro “impulso vitale”, la nostra fame di vivere, galoppa a perdifiato – e se davvero, dentro, siamo guidati dall’auriga che Platone teorizzava nel Fedro, è certamente il cavallo nero della passione a trainare ora il nostro cocchio, e la razionalità del cavallo bianco può benissimo attendere.
Tuttavia, a ogni rivolgimento della Storia il lettore si affretta a deporre sul comodino l’Iliade e l’Odissea, e si precipita a prendere dallo scaffale l’Eneide. Il nostro unico impulso è la paura, e il bisogno disperato di sopravvivere – il nostro invisibile auriga non si pone più il problema di dove guidare il carro, ma di come rimetterlo in piedi dopo che è brutalmente deragliato azzoppando i due cavalli.
Perché tutto questo non ci è mai stato detto a proposito dell’Eneide? In tempo di guerra non si compilano certo raffinate edizioni critiche. E in tempo di pace si vuole solo passare oltre, dimenticare.

L’autrice: Andrea Marcolongo, scrittrice e giornalista, laureata in Lettere antiche all’Università degli Studi di Milano, è autrice per Laterza di La lingua geniale. 9 ragioni per amare il greco (2016). Tra le altre sue pubblicazioni La misura eroica (Mondadori 2018), dedicato al mito degli Argonauti, e Alla fonte delle parole (Mondadori 2019), compendio di novantanove etimologie. Vive a Parigi. Tradotta in 28 paesi, conta oggi nel mondo 500.000 lettori.

 

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