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ALLANTICAUna maniera di esistere, di Duccio Demetrio, Raffaello Cortina, Milano, 2021, pp.316, € 19,00.

Scriveva Leopardi nelle Operette morali: “Un uomo fatto all’antica” è un uomo “dabbene e da potersene fidare”. Oggi questa immagine virtuosa è andata smarrendosi. Attribuire tale qualità morale a qualcuno può significare accusarlo di essere un conservatore, se non un reazionario. Nel migliore dei casi, si è tacciati di non stare “al passo con i tempi”, di non saperne vedere i vantaggi. Questo libro mostra invece che l’essere all’antica implica alcune delle nostre qualità migliori. Fra queste, la sensibilità per le memorie personali e altrui, per la conoscenza storica, per virtù e valori che paiono dimenticati. E poi, si è tali per modi di fare, parlare, desiderare, non volti nostalgicamente al passato ma orientati a sentimenti in controtendenza, ostili verso ogni forma di volgarità. Piuttosto propensi alla pratica della lealtà, della generosità, dell’amicizia. L’essere all’antica, su cui il libro sfata i pregiudizi più frequenti, arricchisce e non sminuisce il nostro modo di esistere. Per non vivere di solo presente e non esserne troppo contagiati.

Le recensioni:   

[…] Da filosofo dell'educazione, appassionato cultore, persino fanatico della scrittura autobiografica, come ama ripetere di sé, Ducclo Demetrio ci consegna invece «l'antico come un sentimento singolare sganciato dal rapporto con la sua parola maestra antichità, in senso temporale. Uno stato mentale, uno stato di grazia che trova le sue radici nel nostro passato, nella nostra memoria autobiografica, e continua ad agire nel presente come una poetica dell'esistenza. Un altrove senza tempo, una maniera di stare al mondo e di condividere le posizioni di chiunque intenda renderlo migliore». Dunque un'etica innovatrice, un punto di vista morale rispetto a ciò che non ci piace del presente, in grado di guardare avanti secondo una visione antica, di come essere e cosa fare, che trova le sue radici «in qualità che appartengono a noi stessi prima di tutto, poi a persone, tendenze, consuetudini virtuose e idealità intramontabili». Sentimenti antichi che hanno guidato l'umanità verso traguardi di alta civiltà, e oggi da accogliere, custodire e condividere con chi può comprenderne la natura e la storia; strumenti indispensabili per non vivere a propria insaputa. Eredità che il professore enumera come memorie, sensibilità, gusti estetici, tradizioni profonde e umanitarie, forza d'animo, bellezza, passioni per la conoscenza, virtù interiori e sociali di cui si sente la mancanza. E che il banale pensiero comune definisce superati e fuori moda. Qualcosa di inutile al frettoloso tempo presente. Per guardare avanti non si deve temere di voltarsi indietro. Bisogna Imparare dal proprio passato, l'antico sempre presente che ci accompagna, che non è dietro di noi ma ci precede, rassicura e indica vie diverse da percorrere.
(Rossana Sisti, Avvenire, 13 marzo 2021)

[…] Duccio Demetrio tesse un elogio elegante e accorato dell'antico, equivalente per lui alla «fortuna di sapersi cresciuti dai fantasmi di chi mai conoscemmo». Una sorta di categoria, pronta all'uso e al riuso, dello spirito; un continuum mentale e culturale che connette e ricama le epoche. Antico non nel senso di conservazione, regressione, tradizionalismo stantio. Piuttosto un'eredità da raccogliere e perpetuare per mitigare certi eccessi e derive della contemporaneità. Assumendo come stelle polari consuetudini e idealità immarcescibili, valori universali che hanno contraddistinto nel corso dei secoli il nostro modo di pensare, amare e stare al mondo. Un inesauribile fil rouge che ha attraversato la grande storia e le singole storie personali. Un mélange di «immagini, voci, volti, oggetti, incontri che hanno lasciato sulle nostre condotte tracce pressoché indelebili». Certo, c'è anche un antico completamente diverso, primitivo, barbarico, insano, fosco. Ma l'autore si tiene stretta la sua manifestazione migliore, edificante e nobile, al netto di ogni stereotipo e tentazione mitizzante. Quella carezzevole mano invisibile che sospinge verso l'alto: la passione per l'arte e la bellezza, la cura dell'ambiente, l'affidabilità, la coerenza, la solidarietà. Un punto di vista morale, un giardino prezioso da coltivare giorno dopo giorno. E ai profeti dell'hic et nunc, contrappone Seneca: «Agli indaffarati tocca solo il presente, che è brevissimo e inafferrabile». Chi è all'antica, invece, afferma Demetrio, si moltiplica la vita e proietta nel futuro, perché «l'antico è un passato che deve ancora venire».
(Maurizio Di Fazio, Robinson di Repubblica, 13 marzo 2021)

[…] Si parte dal periodo storico che stiamo vivendo, immersi nel caos e nel terrore provocati dalla pandemia. Tutto vacilla, l'orizzonte si incupisce e si oscura, i pallidi riferimenti della cultura "fluida" degli ultimi decenni, diventano fantasmi che si aggirano smarriti nelle lande desolate della nostra quotidianità. Ed ecco ricomparire parole - e le azioni ad esse collegate - che erano cadute in disuso, ricoperte dalla patina oscurante dell' «essere all'antica»: parole come coraggio, sacrificio, eroismo, audacia, fermezza, ragione, non rassegnazione, spiega l'autore. Parole, meglio, modi di essere che si ergono davanti a noi come appigli sicuri, come imbarcazioni in cui salire per affrontare la tempesta e non farsene travolgere. PICCOLE COSE Essere all'antica, in realtà, in questa accezione riproposta, significa essere atemporali, fuori dalle ideologie, dalle urgenze contemporanee, non monolitici e tetragoni, ma forti e combattivi, sereni, se non felici. Demetrio ricorda, dunque, che l'antico non va solo collocato nel tempo, ma risiede più che altro nello stato d'animo, nello sguardo che vaga tra piccole cose e paesaggi pronti a trasformarsi in ricordi, così come accade nelle opere dei poeti crepuscolari, a cominciare dal grande Guido Gozzano, non a caso lungamente citato nel saggio. Piccole cose che ci parlano nel loro silenzio, immagini che diventano poesia, ricordi personali e memorie dell'infanzia, a ritroso in un tempo nel quale non c'eravamo: una dimensione altra, infinita. In questo territorio affondano le radici dell'antico, che dunque non è semplicemente una dimensione storica, il rimandare a modelli del passato, ma è la "patria" spirituale di ciascuno di noi. Sono le radici che ci permettono di sopravvivere in mezzo alla tempesta, la nostra casa non costruita sulla sabbia ma sulla roccia. […]
(Caterina Maniaci, Libero, 10 marzo 2021)

 

L’incipit: Ricordo molto bene la prima lezione di storia in quarto ginnasio.

Il professore ci disse in tono solenne, sillabando la frase e con una tale perentorietà da non ammettere repliche:

“La – sto-ria – non – si – fa -con – i – se!”

Da incuto quel ero, vincendo la timidezza, alzai la mano e chiesi: “Ma nemmeno con i come se?”.

Il responso non si fece attendere, tranchant e caustico:

Caro Signore” a quei tempi, al liceo Giosuè Carducci di Milano c’era ancora qualche docente che non si rivolgeva a noi con il tu “il classico non fa per lei. Le consiglierei l’artistico”; e mi venne così inibito ogni sogno di far carriera in campo storiografico. Tuttavia, tale ironica risposta, con il prevedibile e immancabile coro di risate del resto della classe, non riuscì a spegnere in me la curiosità (a modo mio) per questo campo del sapere e, in particolare, per il mondo antico. A ogni buon conto, nessun tentativo di riparazione poté in seguito sanare quel vulnus da me recato alla disciplina. I voti nei primi due anni liceali non andarono oltre uno stentato 6 e non furono sempre a causa dei miei inadempimenti scolastici. Diventai, da allora, fatalmente, quello del come se, e non solo quando venivo chiamato alla cattedra per essere interrogato.

Nonostante l’invito sardonico ad occuparmi d’arte più che di scienze umane, che coltivai con immenso piacere a latere e ben oltre gli anni della scuola, non cercai affatto di cancellare i “come se” della mia vita, di tacerne le loro virtù. Ormai erano diventate la mia sfida alle certezze, ai dogmi, alle frasi fatte, ai pregiudizi. Anzi, tentai di adottarli, fin da allora, come un vero e proprio punto di vista da utilizzare in circostanze diverse. Tanto più quando, in prima liceo, la filosofia entrò nella mia vita, per rimanervi per sempre. Con tutto il seguito di se, come se (finalmente ammessi), forse, chissà, può darsi, e di innumerevoli dubbi salutari che iniziarono a gremire mente ed emozioni.

Fu grazie ai “come se” che compresi quanto la loro adozione possa rendere intellettualmente e umanamente più lieta, meno noiosa e più divertente l’esistenza.

 

L’autore: Duccio Demetrio ha insegnato Filosofia dell’educazione all’Università di Milano-Bicocca. Ha inoltre fondato e dirige la Libera Università dell’Autobiografia e l’Accademia del Silenzio ad Anghiari. Per Raffaello Cortina ha pubblicato, tra gli altri, Filosofia del camminare (2005), La vita schiva (2007), Perché

amiamo scrivere (2011), La religiosità della terra (2013), Ingratitudine (2016), Foliage (2018), Micropedagogia (2020).

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(G. Leopardi, Zibaldone, 16. Settem. 1832).

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