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La scuola serve a vivere meglio, non a produrre di più
(Nando Cianci)

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Scuolaslow è una piazza nella quale incontrarsi, discutere, raccontare le riflessioni, le esperienze, le pratiche intrecciate con l'idea di una scuola slow, vale a dire sottratta...

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BOLOGNA ADAGIOAll'ombra dei portici,
di Nicoletta Rossi, Enrico Damiani Editore, 2025, pp. 256, € 18,90.

Con linguaggio chiaro, colto e forgiato da un insieme di competenza storico-artistica e amore per la città, l’autrice ci guida in un percorso attraverso i luoghi-simbolo di Bologna – a partire dal Crescentone, il centro di piazza Maggiore –, le opere d’arte, le chiese, i musei, i locali della convivialità e del relax. Ed anche le curiosità, a iniziare da quelle che sembrano provenire da un mondo scomparso da secoli, ma che vivevano fino a meno di tre decenni fa, come nel caso dell’Albergo Diurno Cobianchi, «dove, oltre ai bagni e ai servizi, con 10 centesimi si poteva avere anche un tavolo di scrittura con carta compresa!». O l’altra che ci consegna un mondo in cui carta e penna sono invece in disuso, ma nel quale i bolognesi hanno trovato il modo di incanalare la tecnologia verso un uso confacente al loro straordinario senso della comunità: via Fondazza che nel 2013 è diventata la prima social street al mondo, con un gruppo di Facebook dove i cittadini possono scambiarsi conoscenze e conoscersi. Per scongiurare un pericolo mortale per la bolognesità: veder ridotti i rapporti umani e sociali ad anonimi buongiorno e buonasera.

Il giro nel quale ci conduce Nicoletta Rossi ci mostra, nella sua ricchezza storica e nella sua viva quotidianità, una cultura che vive tanto nelle sue espressioni artistiche tout-court che nel buon cibo, nella convivialità, nella solidarietà. Non disperdendosi mai in una dimensione rarefatta, anzi dandoci una dovizia di informazioni che possano parlare a tutti quegli aspetti nel loro insieme. Ma comunque descrivendo il percorso con minuziosità certosina.
Il che non risulta affatto frutto di pedanteria, né il libro assomiglia ad un opuscolo di promozione turistica. Quel che la lettura ci propone, invece, è un modo di guardare e vivere la città (e con esso il mondo). Di camminare e sostare con il ritmo che non appartiene al turismo mordi e fuggi, bensì all’adeguarsi all’anima della città, a quel suo contenere «davvero tutto, la memoria del passato, le speranze per il futuro e la capacità di godersi il presente». Uno sguardo che ha al suo fondo quella “filosofia” slow che è andata sviluppandosi – in controtendenza ad un mondo che tende a farci consumare con irriflessiva voracità tanto i beni materiali che i sentimenti e le idee – in vari campi dell’agire umano: la vita quotidiana, il cibo, la pedagogia, la sociologia[1] ed altro ancora. Uno sguardo che, del resto, è alla base dell’intera collana dell’editore Enrico Damiani nella quale questo libro si inserisce e che reca il significativo titolo di gli adagi. E che la curatrice Teresa Monestiroli esplicita così: «L’Adagio è uno stile di vita: un incedere lento per le strade dell’esistenza che diventa un’occasione per scoprire qualcosa di nuovo dentro e fuori di sé, riordinare i pensieri e tornare a stupirsi di fronte a luoghi che spesso abitiamo distrattamente».
La collana (nella quale sono già usciti i libri relativi a varie città italiane) va dunque anche oltre il pur gradevole andare lungo le città, incoraggiando a inoltrarsi nei luoghi con occhi diversi da quelli generalmente indotti dal ritmo accelerato, e non di rado frenetico, caratteristico dei movimenti, individuali e collettivi, ai quali lo spirito del tempo ci induce.

 L’incipit: Molti anni fa intervistai l’allora rettore Pier Ugo Calzolari e gli chiesi quale fosse il luogo di Bologna che preferiva. Sorprendentemente, non mi rispose uno dei tanti splendidi e semisconosciuti musei universitari, e nemmeno citò uno dei monumenti più famosi, ma disse: «Via Castiglione, dove fa una piccola curva. Lì, verso il tramonto, la luce si insinua fra i palazzi e sull’acciottolato. È un posto magico».
Da quel giorno, forse senza rendermene conto, ho iniziato a vedere Bologna con altri occhi. Beninteso, io amo questa città. Che non è abbastanza grande da diventare una metropoli né abbastanza piccola da restringersi a paesone. Che è abbastanza cosmopolita da inventarsi cose che poi fanno proseliti in tutta Italia, ma anche legata alle sue tradizioni, ai piccoli riti che ciascuno di noi si porta dentro.
In una canzone del 1981, intitolata appunto Bologna, Francesco Guccini (che, come tutti sanno, insieme a Lucio Dalla è la storia musicale della città) la definisce «ombelico di tutto». Perché qui c’è davvero tutto, la memoria del passato, le speranze per il futuro e la capacità di godersi il presente. Ma, come ci insegna il Maestrone Guccini, il bolognese riesce a coniugare l’infinita tenerezza verso la propria città e una critica aspra per le occasioni perse. Se ci pensate bene, è lo stesso atteggiamento dell’umarell, quell’archetipo inventato da Danilo Masotti che ormai spopola in tutt’Italia e che compare anche nei gadget dei musei. L’umarell, che ha molto tempo libero, con le sue braccine dietro la schiena e il busto leggermente piegato in avanti, controlla i lavori stradali e scuote la testa. Lui, li avrebbe fatti meglio, quindi quella è un’occasione sprecata!
I luoghi comuni su Bologna li conoscono tutti: Bologna la dotta, Bologna la grassa, Bologna la rossa. La dotta per la sua università, che è probabilmente la più antica del mondo anche se se la gioca con la marocchina Fez. La grassa per la sua succulenta cucina intrisa di burro. La rossa per il colore dominante dei suoi palazzi (li vogliamo ringraziare quei funzionari che nel corso dei secoli hanno limitato l’uso di altre tonalità?) ma anche, giocando sul doppio senso, per il suo passato di più grande città comunista fuori dall’Urss.

 L’autrice: Nicoletta Rossi (1959), è giornalista professionista da quasi quarant’anni, ha lavorato a lungo al Resto del Carlino, ricoprendo vari incarichi. In particolare, occupandosi di cronaca nera e giudiziaria, ha seguito in prima persona inchieste importanti, dal brigatismo rosso a Tangentopoli, dalla strage del Salvemini ai Bambini di Satana. Per alcuni anni è stata anche corrispondente del Giornale, allora diretto da Indro Montanelli.


 

[1] Nutrita è la biografia al riguardo. Si va dai libri di Bruno Contigiani, fondatore di “L’arte di vivere con lentezza” (tra cui Vivere con lentezza ,Papero Editore, 2018) a quelli di Carlo Petrini, fondatore di “Slow Food”, (tra cui Terra madre, Giunti, 2009), di Franco Cassano (tra cui Il pensiero meridiano, Laterza, 1996), ai tanti in ambito pedagogico. Fra questi ultimi ricordiamo il precursore Gianfranco Zavalloni (La pedagogia della lumaca, Emi, 2008), Joan D. Francesch, (Elogio dell’educazione lenta, La Scuola, 2011), Penny Ritscher, (Slow school, Giunti, 2011), Nando Cianci (Viandanti e naviganti. Educare alla lentezza al tempo di Internet, Youcanprint, 2015). Ma si tratta solo di un piccolo campionario di una vasta produzione.

 

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