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La scuola serve a vivere meglio, non a produrre di più
(Nando Cianci)
Cos'è Scuolaslow
Scuolaslow è una piazza nella quale incontrarsi, discutere, raccontare le riflessioni, le esperienze, le pratiche intrecciate con l'idea di una scuola slow, vale a dire sottratta...
di Camilla Läckberg, Marsilio, Venezia, 2020, pp. 360, € 19,90.
Il libro: Grazie a un piano raffinato e crudele, Faye si è lasciata alle spalle il tradimento e le umiliazioni subite dall’ormai ex marito Jack e sembra aver ripreso in mano le redini della propria esistenza: è una donna autonoma, si è rifatta una vita all’estero, Jack è in prigione e la società da lei fondata, la Revenge, va a gonfie vele. Ma nuove sfide potrebbero incrinare la sua serenità così faticosamente conquistata. Sull'azienda e sul lancio del marchio Revenge negli Stati Uniti pesa una grave minaccia, tanto che Faye è costretta a rientrare a Stoccolma. Non può e non vuole rischiare di perdere tutto quello per cui ha tanto lottato. Questa volta però la determinazione non basta, e per risorgere dalle ceneri e riprendere il controllo della situazione ci vuole un piano ancora più diabolico. Così con l’aiuto di un gruppo sceltissimo di donne, Faye torna a combattere per difendere ciò che è suo, e per proteggere se stessa e i propri cari.
Le recensioni:
Questo è il secondo libro dedicato a Faye, una sopravvissuta, una donna che è riuscita a ribellarsi ai tradimenti ed alle umiliazioni subite da suo marito Jack. Ed è andata oltre: ha ottenuto la sua vendetta, così come altre donne oltraggiate e tormentate. La ditta che hanno faticosamente costruito, il progetto pensato per le donne ferite, la “Revenge”, è il frutto del loro riscatto, ed ora sembra essere in pericolo.
Faye ritorna in questo libro più combattiva che mai, ma anche pronta a mostrare le proprie fragilità, le sue cicatrici così sottili non perché invisibili ma perché ormai incastonate nella pelle, in quello strato di sé che difficilmente potrà essere sanato perché affogato nella carne, ammassato visceralmente dentro la sua anima.
Ma ora la potente, ricca ed incrollabile Faye come potrà affrontare l’ennesima crisi?
[…]arriva indolente e felpato un nuovo sentimento, dopo molto tempo, inaspettato e disarmante. E prepotentemente attacca le sue difese facendosi strada là dove le fragilità vacillano. E se c’è una cosa che indebolisce una donna che ormai si sente praticamente imbattibile è proprio l’amore.
Il libro, come ogni romanzo della Lackberg, mi ha completamente catturata; ho amato in particolare la sorellanza tra donne, quelle che riconoscono le proprie ferite nell’altra e nonostante il passato si affidano. Perché solo così possono farsi scudo e solo così possono uscirne vittoriose.
[…] la penna graffiante della Lackberg ancora una volta riesce a raccontare la solidarietà femminile con grande intensità. E con la stessa intensità disarmante ci racconta di donne incredibilmente forti ma nel contempo fragili, che gestiscono un passato fatto di paure ed abusi con fierezza e caparbietà, per rinascere ogni giorno diverse.
(Barbara Aversa Pacifico,https://thrillernord.it/ali-dargento/)
Faye è una donna affascinante, sicura di sé, che vive una vita agiata. La Revenge, l'azienda che ha costruito sacrificando tutta sé stessa, sta andando a gonfie vele, ma tra le collaboratrici, le donne che tanto stimava e che ha scelto dando la sua completa fiducia, qualcosa inizia a non tornare.
Oltre che affrontare i nuovi tradimenti subiti, Faye deve anche fare i conti con la propria oscurità interiore. Gli abusi e le violenze subìti nell'infanzia sono ricordi sempre presenti, e nonostante lei abbia scelto di ricostruirsi un'identità e una nuova vita, adesso qualcosa potrebbe minacciare di svelare il cumulo di segreti della quale si è circondata.
Nel libro ci sono continui flashback temporali che riguardano l'infanzia di Faye, proprio per sottolineare quanto è fondamentale conoscere la sua storia per capire il personaggio. (…) Le sofferenze che ha subìto l'hanno inevitabilmente influenzata rendendola la donna che è: calcolatrice, determinata e vendicatrice, ma sempre dalla parte delle donne.
La Lackberg con Faye ha creato la sua icona femminista che lotta contro la dominanza maschile, attraverso giochi di potere e di vendetta.
Nonostante sia una Camilla Lackberg diversa rispetto alla precedente serie di Patrik ed Erika, più dura e determinata su certe tematiche, la scorrevolezza e il modo di coinvolgere il lettore risultano invariate. Il romanzo è un seguito eccezionale. Racchiude scene forti, elementi thriller come l'adrenalina e la suspense, e ottimi giochi di intrighi.
(https://sistersbooks.blog/recensioni/Ali%20d'argento)
L’incipit: Faye accese la macchina Nespresso. Mentre aspettava che scendesse il caffè, si affacciò alla grande finestra della cucina, e come sempre restò senza fiato di fronte al panorama.
La casa di Ravi era il suo paradiso in terra. Il paese era piuttosto piccolo, poco più di duecento abitanti: Lo si girava in cinque minuti, e senza nemmeno camminare troppo veloce, ma al centro della piazza c’era un ristorante che serviva la pizza e la pasta migliori che avesse mai mangiato. Ed era pieno tutte le sere. A volte ci capitava anche qualche turista, soprattutto dalla fine di maggio in poi. Francesi appassionati di bicicletta o pensionati americani che realizzavano il sogno di girare l’Italia in camper, mentre i figli ormai adulti si domandavano perché mai i loro genitori pretendessero di avere una vita propria, invece di fare da babysitter ai nipoti.
Ma niente svedesi.
Faye non aveva visto un solo svedese da quando aveva preso casa lì, e quel dettaglio era stato uno dei fattori determinanti per la scelta della località. In Svezia era una celebrità. In Italia invece voleva, e doveva, restare anonima.
Aveva comprato un bel casolare antico a una ventina di minuti a piedi dal paese. Appollaiato su una collina, con filari di vite che si inerpicavano sul pendio verso la casa. Faye adorava passeggiare su e giù per i sentieri, andare a comprare pane, formaggio e prosciutto crudo. Era lo stereotipo più classico della vita in un paesino italiano, e se lo godeva fino all’ultima goccia. Così come sua madre, e anche Kerstin e Julienne. Erano diventate un quartetto affiatato, da quando il suo ex marito Jack era finito in prigione, due anni prima.
Kerstin e Ingrid facevano a gara a viziare Julienne, e quando Kerstin era via, come ormai capitava sempre più spesso, era Ingrid a mandarle foto e aggiornamenti quotidiani sulla bambina.
Il caffè era pronto. Faye prese la tazzina e attraversò il soggiorno, diretta verso il retro della casa, dove sciabordii e allegri strilli infantili rivelavano la presenza di una piscina ancora prima di vederla. Faye adorava quel soggiorno. Arredare la casa era stato impegnativo, ma con pazienza e l’aiuto di uno dei migliori architetti d’interni d’Italia era riuscita a d averla esattamente come la voleva. Il casale aveva spesse pareti in pietra che lo proteggevano dal caldo e mantenevano una piacevole frescura anche durante la canicola estiva, ma rendevano l’interno leggermente buio. Avevano rimediato con grandi mobili chiari e un’illuminazione discreta ma funzionale, oltre che con grandi finestre sul retro. Faye adorava il paesaggio quasi impercettibile dal soggiorno alla terrazza.
Uscì all’aperto, accarezzata dalle ampie tende bianche. Mentre beveva il caffè, osservava sua madre e sua figlia, senza che loro se ne accorgessero. Incredibile quanto era diventata grande Julienne. Ormai aveva sei anni e con il sole i capelli biondi le si erano quasi sbiancati. Le spuntavano nuove lentiggini praticamente ogni giorno, ed era bella, sana e felice. Tutto quello che aveva desiderato Faye per lei. Tutto quelloc he una vita senza Jack aveva reso possibile.
«Mamma, mamma! Guarda, nuoto senza braccioli!»
Faye sorrise con espressione stupefatta, per far capire alla figlia quanto apprezzasse i suoi progressi. Julienne era nella parte alta della piscina e nuotava a cagnolino, annaspando parecchio, ma senza i braccioli con la faccia di Bamse, rimasti sul bordo. Sua madre osservava nervosamente la nipotina, pronta a lanciarsi in acqua.
«Tranquilla, mamma. Ce la fa.»
Faye bevve l’ultimo sorso di caffè, rimpiangendo di non essersi preparata un cappuccino.
L’autrice: Camilla Läckberg è tra gli autori più letti al mondo. I dieci libri della serie di Fjällbacka, pubblicati in Italia da Marsilio, hanno venduto 25 milioni di copie in 60 paesi. Läckberg è anche imprenditrice di successo e una delle fondatrici di Invest in Her, una società che investe nell’imprenditoria femminile ed è impegnata in prima linea per l’abbattimento della disparità salariale tra uomini e donne. La serie di Faye, di cui Ali d’argento è il secondo episodio, ha segnato un nuovo capitolo nella sua produzione letteraria e ha presentato ai lettori una protagonista indimenticabile, portavoce di un forte messaggio femminista.
Il mondo greco come un romanzo, di Maria Grazia Ciani, Marsilio, Venezia, 2020, pp. 138, € 15,00.
Il libro: «Succede spesso di aprire un saggio o un romanzo moderno e trovare una frase, una citazione, un verso che ci par di conoscere. Ma certo: è Omero, è Platone, è Eschilo… E allora mi fermo a pensare. Perché non ho mai colto quei frammenti sparsi come pietre preziose in testi greci dei generi più vari, distillati di una sapienza allo stato puro, trasparente e diretta?».
Lettrice, traduttrice e interprete della saggezza antica, Maria Grazia Ciani ha interrogato per tutta la vita la lingua greca, custode del mito per eccellenza e della sua potenza filologica, poetica, metaforica. Oggi ne rilegge con altri occhi figure e storie per consegnarci suggestioni e intuizioni che illuminano e inducono a riscoprire quanto ancora hanno da dirci e perché sembrano parlare all’uomo di ogni tempo. Partendo proprio dalla lingua e dalle singole parole si approda allo sterminato universo dell’Iliade e dell’Odissea, alle immagini più potenti delle tragedie e quindi al passaggio da modelli di vita individuale a quelli collettivi della città, fino alle incursioni nella terra dei morti e alla riscoperta di personaggi cancellati o rimossi a favore di altri. Un prezioso deposito di valori e memoria dove spunti immaginifici si alternano a viaggi nel tempo che si leggono, appunto, «come un romanzo».
Le recensioni:
È una raccolta di saggi coordinati fra loro, non una silloge di articoli già scritti. Coniuga ancora una volta, questo libro, la limpidezza e la semplicità con la profondità e la difficoltà. Perché quanto più breve, tanto più difficile è tentare il racconto della civiltà greca, del suo senso, di quel che ha lasciato al mondo. Eppure di quante cose questo libro è ricco, tanto che occorre leggerlo più volte per afferrarlo. L’inizio, ossia l’apertura, è dedicato al tema della porta, ossia delle sette di Tebe e della settima, l’inviolata, ove si uccidono Eteocle e Polinice. E all’azione di Antigone, contro la legge: ma una legge ingiusta. Qui principia la coscienza moderna o, se altri vuole, l’idea del diritto naturale.[…]
Mi ha colpito molto il capitolo sulla nascita della medicina moderna: da esercizio del sacro, con Esculapio, a esercizio della scienza, con Ippocrate – Galeno è giustamente considerato più filosofo che medico. Non dimentichiamo che Asclepio venne ucciso dagli dèi per aver risuscitato Ippolito, il quale si trasferì presso il lago di Nemi, sacro a Diana, la dea alla quale il figlio di Teseo s’era consacrato, venendo venerato col nome di Virbius, ossia “uomo due volte”. Dal Corpus Ippocraticum la Ciani estrae e traduce, pur avanzando tutte le riserve del caso, una cartella clinica, relativa a un giovane di vent’anni che muore in una settimana di un morbo forse contagioso. Non vi sono preghiere, ma osservazioni sulle urine, le feci, la temperatura, il comportamento dell’ammalato. Le porte del mito si aprono anche alla scienza moderna.
Da ultimo – ma di questo la Ciani non parla, e credo per umiltà – c’è la musica. Si accompagnava alla poesia lirica e conviviale, e i cori delle Tragedie erano cantati. Non sapremo mai quali melodie fossero intonate: la notazione musicale moderna nasce solo a partire dall’anno Mille. Ma per i Greci contava molto di più la musica scientia, ossia il calcolo degl’intervalli, le sottili distinzioni sul semitono. La scala musicale fissata da Pitagora è ancor oggi la base della teoria musicale. Tutti i nomi, anche recenti, della teoria musicale posseggono un etimo greco. Ma questo si può dire, presso la cultura europea, a proposito di qualunque scienza.
(Paola Isotta, Libero Quotidiano, 5.6.2020)
Le porte del mito invita il lettore a varcare la soglia metaforica tra tradizione e fantasia, per immergersi in una delle lingue più affascinanti del mondo, ma anche tra le più complesse. La lingua greca è una lingua morta e per questo alcuni passaggi, fondamentali per comprendere l’evoluzione e la crescita del lessico ad esempio, sono intuizioni, ipotesi filologiche che rendono tale lavoro affascinante, sicuramente, ma anche molto vicino al metodo per prove ed errori, per tentativi, non potendo dialogare più con la lingua principale anche perché i testi che restano sono frammenti.
Che cosa abbiamo perso in questo passaggio? Di quale bellezza la morte del greco ci ha privato?
L’autrice ci porta a seguire le illuminanti tracce che il greco ha lasciato e che si possono ritrovare in tanti altri scritti. Le riflessioni che l’autrice induce sono un invito a guardare oltre, alla scoperta di una lingua che si fa comunicazione di un modo di vedere che ha ancora tanto da dire.[…]
Parlare del greco è parlare dei poemi per antonomasia, Iliade e Odissea, intrisi essi stessi di mito, di mistero, di fascino: chi era Omero? È mai esistito veramente? L’autrice ripercorre alcune scene dei poemi, invitandoci a riflettere, tramite esse su alcune parole e su alcuni concetti fondamentali per la lingua e la tradizione greca: la bellezza, ad esempio, l’attenzione al corpo, la sacralità, il rito, lo spettacolo, la guerra. E vita e morte, inevitabilmente, unite nella poesia, nella parola, nella celebrazione del canto.
Vita e morte richiamano il tema della memoria, del ricordo dell’eroe, ad esempio, molto presente nell’Odissea: pensiamo all’incontro tra Odisseo e Achille nel regno dei morti, all’importanza della vita per i Greci e all’odio per la morte e per la vecchiaia, all’importanza della fama, del proprio nome come lascito e testamento della propria esistenza. E Odisseo chiama a sé il tema del viaggio, e porta l’attenzione sulla sua figura, che ha avuto interpretazioni diverse proprio a causa di quelle caratteristiche che gli vengono attribuite sin dalla nascita, astuzia e furbizia. Eroe o anti-eroe? Cinico calcolatore, mercante, o saggio? Tante le versioni di Odisseo che sono venute dopo il poema omerico, con l’enigmatica conclusione e profezia di Tiresia sulle sorti del re di Itaca.[…]
Tra leggenda e mito, tra tragedia, poesia, trattati medici e poemi corposi, l’autrice ci regala suggestioni attraverso e per mezzo della lingua greca, fonte inesauribile di meraviglia e di bellezza.(https://vivianasbooks.it/2020/06/07/le-porte-del-mito/)
L’autrice, che per lo stesso editore ha tradotto l’Iliade e l’Odissea, sa comunicare al lettore la sua passione culturale per il mondo antico, senza schiacciarlo con l’erudizione ma, dall’alto della sua competenza, fa condividere lo specchio in cui si riflettono i miti fondativi dell’Occidente. Brevi capitoli, nomi noti che rimandano a pieghe inesplorate della memoria e della psiche occidentali, luoghi e accadimenti che, nella nuova luce, sentiamo vicini, anzi, dentro di noi. A farne le spese è il personaggio di Ulisse che Ciani plasma con oggettiva veridicità, condividendo la descrizione di Filostrato: «Era abilissimo nel parlare, ma era un dissimulatore, amava l’invidia e lodava la malignità, era sempre triste e sovrappensiero, in guerra appariva più coraggioso di quanto non fosse in realtà, e non era esperto neppure nel tirare l’asta». Ciani riporta la storia misteriosa di Palamede, di cui Omero non parla ma che mitografi e poeti successivi hanno riportato. Ulisse, riferisce Apollodoro, non era intenzionato a partecipare alla guerra di Troia, e per non essere arruolato si finse pazzo: fu Palamede a dimostrare che quella pazzia era simulata, e così Ulisse fu costretto a partire. Sul campo, volle vendicarsi accusando Palamede, fornendo prove false ma irrefutabili, di essere connivente con i Troiani, talché il rivale che lo vinceva nelle gare di astuzia e sapienza fu lapidato dai commilitoni. Del resto, anche Dante colloca Ulisse nel girone infernale dei consiglieri fraudolenti, ma non nasconde una certa ammirazione per il coraggio di Ulisse di lasciare Itaca, dopo un breve soggiorno con la pazientissima Penelope, rimettendosi in mare per esplorare l’emisfero australe, inseguendo «virtude e canoscenza» per la gioia degli illuministi di sempre. Anche la storia di Nausicaa, secondo altre fonti, va oltre il racconto omerico. La fanciulla, abbandonato Ulisse ma di lui sempre innamorata, giunge avventurosamente a Itaca e da Penelope apprende che egli è ben altro da quello che appare: «È un vizioso, un truffatore, un bugiardo, è davvero un uomo “dai mille volti” che lei, Penelope, ha amato da lontano ma ha scoperto al suo ritorno. E lo ha cacciato da Itaca né sa più dove sia». Questo è solo un assaggio della rilettura che Ciani offre dei miti antichi. Ma almeno occorre far cenno alla storia di Orfeo ed Euridice. Orfeo, musico e poeta, ama Euridice e osa discendere nel regno dei morti per implorare agli dei inferi la restituzione dell’amata, prematuramente morta per il morso di una vipera. La grazia viene concessa ma con il vincolo che Orfeo non debba voltarsi per vedere che Euridice lo stia davvero seguendo. Purtroppo si volta, ed Euridice rimane nell’Ade. Maria Grazia Ciani non si ferma all’interpretazioni ovidiana del mito: seguendo le intuizioni di Rilke, di Claudio Magris, e anche del “Poema a fumetti” di Dino Buzzati, suggerisce che Euridice sia appagata dal silenzio e dalla pace che ha trovato nell’Ade, e inconsciamente non voglia seguire Orfeo che non rinuncia alla vita. La vera vita, anche l’amore, è nell’oltrevita: e il mito sembra così colorarsi di un sottinteso cristiano.(Cesare Cavalleri, Avvenire.it, mercoledì 10 giugno 2020)
L’incipit: La porta, la soglia: è un passaggio fatale: Significa vittoria o segna la sconfitta. Nelle antiche città murate la porta è insieme apertura e chiusura sul mondo: un mondo che è sempre “altro”, forse nemico o forse no, comunque sconosciuto. La porta è un luogo fragile, aggredibile, un punto che diventa il perno di ogni guerra di assedio.
Le porte Scee sono il simbolo della guerra di Troia. Di là i Troiani escono in battaglia, rientrano in fuga, là si incontrano Ettore e Andromaca in un attimo sospeso nel tempo, là resta inchiodato Ettore in attesa di Achille, di là passa il suo cadavere riscattato da Priamo. Infine, scardinate in parte dai Troiani stessi, lasciano entrare il cavalo ideato da Odisseo, il principio della fine.
Tebe, secondo tradizione, ha sette porte: mitiche quanto le sue mura innalzate a suon di musica. Ma nelle mura costituiscono pericolosi “varchi”, luoghi cruciali in cui si gioca la sorte della città. Punti deboli ma anche punti di forza che permettono di concentrare l’assedio in sette decisivi duelli.
Un velo di mistero circonda le sette porte di Tebe. Difficile l’identificazione topografica, alcuni nomi sono forse inventati da Eschilo, rimane sicuro l’iter direzionale, da Oriente (le porte Pretidi) a Occidente (la settima porta). Nella tragedia dei Sette, il coro, stravolto dal terrore, rammenta, quasi ricalca la disastrosa fine di Troia.
Troia, Tebe. E, al di là sopra di tutto, aleggia l’immagine di Atene, l’assoluta, la grande avversaria che fa di Tebe e di ogni altro luogo la sua controfigura in negativo, disdegnando di esporsi sulla scena davanti al “suo” popolo eletto. Gli eventi son si svolgono mai ad Atene, eppure Atene è dovunque perché Atene è la Grecia
L’autrice: Maria Grazia Ciani ha insegnato storia della tradizione classica all’Università di Padova. Presso la casa editrice Marsilio ha fondato e diretto fino al 2006 la collana di classici greci e latini «Il convivio» (nell'ambito della quale ha tradotto l'Iliade e l'Odissea) e fino al 2014 la collana «Variazioni sul mito», per la quale ha curato i volumi dedicati a Medea, Antigone, Fedra e Orfeo.
È possibile, nell’istruzione e nell’educazione, assegnare alla tecnologia il ruolo di strumento? O essa sprigiona una tale autonoma potenza che la destina inesorabilmente a dettare tempi, ritmi, modi e persino contenuti del processo formativo? La ragione strumentale ci spingerà a forza verso la proliferazione di ambienti educativi virtuali in sostituzione di quelli reali? La figura del docente potrà essere insidiata dalle intelligenze artificiali o continuerà ad affermarsi il principio secondo cui senza relazione umana non si dà educazione? Il pensiero lento è un ostacolo al progresso o è un modo di essere che ci consente di camminare nel mondo apprezzando la velocità della tecnologia senza farcene travolgere?
L'autore si andava interrogando su questo e su altri problemi quando la pandemia ha posto forzatamente in primo piano, nella scuola, il digitale e il virtuale. In tale situazione, ha deciso di pubblicare un primo embrione della elaborazione di un Manifesto della scuola slow. E di farne dono a quanti siano interessati a questi temi, sperando che possa esercitare una sia pur minima funzione di stimolo alla riflessione e di accoglienza di altri e più approfonditi contributi.
L’eBook viene, così, messo a disposizione di quanti avranno la pazienza di leggerlo, lanciato come un piccolo messaggio in bottiglia nelle acque del gran mare della nostra scuola, con l’auspicio che esse giungano presto a liberarsi dell’attuale tempesta.
Per riceverlo del tutto gratuitamente basta richiederlo scrivendo a Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. E' necessario abilitare JavaScript per vederlo. opppure a Questo indirizzo email è protetto dagli spambots. E' necessario abilitare JavaScript per vederlo.
È possibile una vita senza ricordi? Perché abbiamo così paura di dimenticare? Che succede quando alla nostra mente si forma un ricordo? Nonostante l’analogia con la «memoria» del computer porti a pensare il contrario, la memoria ci sfugge completamente.
Forse per questo temiamo l’oblio, perché sappiamo che è l’oblio la verità della memoria. È tra questi due estremi del ricordo e dell’oblio che oscilliamo continuamente: fra un tenace attaccamento ai ricordi e il desiderio inconfessato di liberarci del loro peso. Con l’aiuto della filosofia, delle neuroscienze e dell’etologia, il libro delinea una mappa del campo mnemonico, un campo attraversato dalle due linee di forza del dimenticare e del ricordare, lungo le qauli si costruisce il nostro difficile rapporto con il tempo.
«[…] Cimatti si scaglia contro due pregiudizi che determinano la comprensione media di ciò che chiamiamo ricordo: in primo luogo che esso sia una cosa e, secondariamente, che un mucchio di simili cose sia stipato in un archivio all’interno del cervello che chiamiamo memoria. Distinguendo tra memoria implicita ed esplicita, vale a dire tra un saper fare inconsapevole e un sapere di saper fare linguisticamente mediato, l’autore strappa il ricordo dalla collocazione abituale, nei recessi della mente individuale, per restituirlo alla sua dimensione pubblica, esterna, comune.
[…] Che il ricordo sia qualcosa da costruire (e non, come si ritiene abitualmente, soltanto da ricostruire) è un primo insegnamento tratto dalla psicoanalisi che Cimatti estende all’intero ambito della memoria. Sul lettino dell’analista, all’interno del setting (e dunque grazie a una specifica mnemotecnica) diviene chiaro che la traccia riceve il suo senso soltanto da una pratica sociale esterna. È il tema della freudiana Nachträglichkeit, del lacaniano après-coup o – più umilmente – del senno di poi che individua retrospettivamente il discorso di un primo ministro come un monito fieramente churchilliano o come una drammatica premonizione su se stesso. Il punto è che quel discorso, da solo, non era né l’uno né l’altro; solamente il secondo tempo proietta all’indietro il proprio antefatto, costituendolo come tale.
Né vero né falso, ma probabile come ogni costruzione, il ricordo costituisce a ritroso la sua stessa traccia affinché – secondo insegnamento tratto dalla psicoanalisi – la memoria ci liberi dalla ripetizione. Gli automatismi, i corsi e ricorsi di un passato mal digerito sono proprio quella memoria implicita, irriflessa, che può essere sconfitta solo tramite la decisione di ricordare.
[…]Costruire il ricordo per non ripetere coattivamente, ci suggerisce il libro di Cimatti. E questo ricordo ci potrà dischiudere quelle virtualità, quei percorsi possibili non sviluppati nel passato che potranno farci prendere strade nuove, al di là della retorica dell’andrà tutto bene.
(Stefano Oliva, in https://operavivamagazine.org/in-memoria-dei-tempi-recenti/)
L’incipit:Da un lato c’è un uomo che non riesce a dimenticare, Solomon Veniaminovič Šereševskij raccontato dal grande neurologo sovietico Aleksandr Lurija nel Viaggio nelle mente di un uomo che non dimenticava nulla; poi c’è un altro uomo, Henry Molaison, che invece non riesce più a formare alcun ricordo, raccontato in un altro classico della psicologia, Prigioniero del presente, della neuroscienziata statunitense Suzanne Corkin. Troppi ricordi da un lato, nessun ricordo dall’altro. In mezzo ci siamo noi e i «ricordi», a cui siamo così tenacemente attaccati, al punto che c’è chi parla addirittura di un «dovere della memoria», anche se si comincia a parlare pure di un «diritto all’oblio». Quello che sembrava essere un problema psicologico è subito, invece, un problema etico.
L’esistenza umana sarebbe impossibile senza ricordi; o meglio, forse una vita smemorata sarebbe possibile, ma sarebbe una vita molto diversa da quella che conduciamo normalmente. Ce lo ricorda (!) anche il fatto banale che dire di qualcuno che è «smemorato» non è certo un complimento. Per non parlare di tutti quegli esseri umani che hanno perso la memoria – spesso in conseguenza di una malattia neurovegetativa – e che tuttavia, almeno in una fase del decorso di questa malattia, possono condurre esistenze che per noi (quelli che ancora si ricordano chi sono) sono disperate, ma forse per loro non lo sono. Non sappiamo che vita sia, una vita del genere, una vita senza ricordi. Ma sicuramente è una vita. Lo spunto per la scrittura di questo libro, in fondo, nasce da questo disagio: perché per molti, forse quasi per tutti, una vita senza ricordi è una vita impensabile? Cosa c’è nell’oblio di così spaventoso? Un libro filosofico sulla memoria non può non interrogarsi su questo problema.
L'autore: Felice Cimatti è un filosofo italiano. Si è laureato in Filosofia alla Sapienza di Roma coon una tesi sui linguaggi degli animali. È docente di Filosofia del Linguaggio all’Università della Calabria e insegna all’Istituto Freudiano, nella sede di Roma. Ha ricevuto il Premio Musatti 2012 dalla Società Psicoanalitica Italiana. Collaboratore del programma radiofonico «Fahrenheit» di Radio3, lavora anche con RAI Scuola per la trasmissione televisiva «Zettel». Fra le sue pubblicazioni si ricordano Il volto e la parola. Psicologia dell’apparenza (Quodlibet, 2007), Il possibile e il reale. Il sacro dopo la morte di Dio (Codice Edizioni, 2009), Filosofia dell’animalità (Laterza, 2013), Il taglio. Linguaggio e pulsione di morte (Quodlibet, 2015), Cose. Per una filosofia del reale (Bollati Boringhieri, 2018).
«La scuola tra pandemia e normalità: la didattica a distanza, necessaria in tempi di pandemia, dovrà tornare ad avere un ruolo secondario e circoscritto in una scuola che, per formare cittadini colti e consapevoli, non può che restare fondata sulla relazione educativa e l’incontro delle persone».
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