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cenci

La quarantennale esperienza del maestro Franco Lorenzoni raccontata in un colloquio con Peppe Aquaro, sul Corriere della Sera e nel libro I bambini ci guardano (Sellerio editore). 

 

 «Vieni, c’è una scuola nel bosco, il suo nome conosco: vuoi conoscerlo tu?». Di sicuro, non deve essere facile resistere ad un invito del genere. Roba da fiaba. Solo che, in questo caso, c’è un maestro, un signor maestro, a fare gli onori di casa. Altro che Lupo o Cappuccetto rosso. E non bisogna aver paura: la casa è aperta a tutti, insegnanti e studenti, da quasi 40 anni. Da quando il maestro romano Franco Lorenzoni, insieme ad altri insegnanti coinvolti dal Movimento di cooperazione educativa, ha inaugurato la «Casa-laboratorio di Cenci», centro di sperimentazione educativa di Amelia, in provincia di Terni. Era il 1980. Una vita fa. E il maestro aveva appena 27 anni.

Uno spazio per crescere

La casa-laboratorio non ha mai smesso di esistere, provando ad educare e soprattutto a lasciare qualcosa di concreto e duraturo per i futuri uomini. «Se ci siamo riusciti? Non spetta a me dirlo: basterebbe, magari, girare per le classi della scuola primaria e capire il grado di empatia che si è creato tra gli insegnanti e i ragazzi, i bambini», osserva Lorenzoni, il quale, lo scorso anno, si è lasciato alle spalle per l’ultima volta, prima di andare in pensione, la sua aula della scuola elementare di Giove, sempre in Umbria, a due passi dalla Casa di Cenci. «In quella scuola ho insegnato per ben 35 anni». 

Pagine in giro per l’Italia

Sette lustri possono valere un libro (che naturalmente non è l’unico di Lorenzoni), «I bambini ci guardano. Una esperienza educativa controvento», pubblicato da Sellerio, e presentato recentemente nel salone Lombardo Radice, della sede Indire, in via Michelangelo Buonarroti, a Firenze. Ci saranno altre presentazioni: a Chieti, questo venerdì 1 marzo, successivamente a Milano, in occasione del Book Pride, il 15 marzo, e poi a Roma, il giorno dopo, per «Libri come». Una serie di appuntamenti nel corso dei quali, Lorenzoni racconterà sia esperienze personali che con i ragazzi, pensieri e dialoghi sul tema delle migrazioni, sulla relazione tra pace e guerra, tra il femminile e il maschile. Iniziando proprio dal titolo, dalla parola «Controvento». 

Perché controvento

«Ritengo che qualsiasi tipo di educazione debba andare controvento, che è poi guardare le cose di tutti i giorni, con spirito critico», spiega il maestro, ispiratosi, nella scelta della parola, al lavoro degli architetti, «i quali utilizzano questo termine per indicare i tiranti che reggono un edificio, così come un educatore si augura che ciò che lascia ai propri ragazzi possa durare nel tempo». E parla di un momento clou della scuola primaria, rappresentato dalla quinta elementare: «E’ il periodo del congedo: per un ragazzino è la sintesi di tutto il lavoro svolto negli anni precedenti, un passo alla volta, senza buttare nulla», dice Lorenzoni. 

Giotto e la crisi nel Mediterraneo

Rinforzando il concetto, aggiunge l’esempio di una bambina di quinta, la quale, di fronte al plastico costruito in classe per visualizzare le tensioni e i conflitti nell’aerea del Mediterraneo, era riuscita a tirare fuori un ricordo della prima elementare: «E’ come la crepa di Giotto’, operando una scelta logica meravigliosa e riferendosi alla spaccatura raffigurata da Giotto, nel ciclo di affreschi dedicati a san Francesco, per simboleggiare la separazione tra i ricchi e i poveri». Basta ascoltarli, gli alunni, entrando in empatia con loro, rimarca il maestro, per nulla entusiasta del modo in cui la stressa università forma i futuri insegnanti: «La tradizione di un pedagogista come Mario Lodi è ancora poco conosciuta, e le università di Scienze della formazione non conoscono la forza del dialogo, quel saper parlare ai bambini che va sotto il nome di Pedagogia dell’ascolto». 

«Non chiamateli missionari»

Ma se i bambini ci guardano, come immaginano la figura del maestro, del maestro 2.0? «Credo siano i primi a capirlo: quella del maestro non è una missione, ma un mestiere come tanti altri, che ha bisogno della sua cassetta degli attrezzi, da ricalibrare di generazione in generazione», risponde Lorenzoni. «Lo sa qual è la cosa che non dovrebbe mai sparire in una classe? La capacità di sorprendersi, quel sapersi mettere in gioco, col proprio corpo, senza vergognarci delle nostre emozioni: può essere l’antidoto giusto all’alienazione».


PEPPE AQUARO (Corriere della Sera 1 marzo 2019)

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